La dottoressa Margherita Sorge: «Il senso del dovere imparato a danza»

La dottoressa Margherita Sorge: «Il senso del dovere imparato a danza»
La dottoressa Margherita Sorge: «Il senso del dovere imparato a danza»
di Luigina Pezzoli
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Domenica 21 Aprile 2024, 04:30 - Ultimo aggiornamento: 11:47

«Mio padre mi ha fatto innamorare della mia professione. Il suo esempio è sempre stato davanti ai miei occhi». La dottoressa Margherita Sorge, responsabile del reparto di Gastroenterologia all’ospedale Madonna del Soccorso a San Benedetto del Tronto, non usa giri di parole quando ricorda come fin da bambina avesse ben chiaro quello che voleva diventare. Figlia del professore Antonio Sorge, primario di Chirurgia per oltre trent’anni al nosocomio sambenedettese, Margherita era molto incuriosita dal lavoro del padre, tanto che qualche volta andava con lui in ospedale. «Mi ero innamorata della chirurgia, ma per varie ragioni cambiai specializzazione. Ero orgogliosa di lui e avevo un grande spirito di emulazione. Ricordo che a 12 anni ad una festa di Carnevale mi mascherai da medico, insomma ero già dentro di me questa voglia» afferma sorridendo la dottoressa che però non ha manifestato fin da subito al padre questo suo desiderio.

L’università

Infatti, terminato il liceo Classico Leopardi nel 1981, per lei anni bellissimi in cui ha conosciuto e instaurato delle amicizie che coltiva ancora oggi, per Margherita arriva il momento di iscriversi all’università. «Mi sconsigliò di iscrivermi a Medicina, sapeva quanto questa professione fosse molto faticosa e impegnativa.

Così su suo suggerimento presi Giurisprudenza a Bologna, ma trascorso un anno capii che quella non era la mia strada. Così, di nascosto, iniziai a frequentare la facoltà di Medicina. Dopo il primo esame, con esito trenta e lode, raccontai tutto a mio padre. Ne fu felice». Margherita ha trascorso un’infanzia e un’adolescenza serena e felice grazie ai suo genitori che le hanno trasmesso valori come rigore, forza e amore per la libertà. In particolare mamma Giuseppina che si occupava della conduzione dell’hotel Excelsior. «Lei è stata come un faro della mia vita, un’amica, un esempio di valori e resilienza. D’estate, intorno agli anni Settanta e Ottanta, insieme ai miei fratelli, Gaetano e Alessandro, l’albergo dove lavorava nostra madre diventava per noi un punto di ritrovo. Spesso, la sera si organizzavano dei balli con un’orchestra che suonava».

La danza classica

Fin da ragazzina Margherita ha sempre amato lo sport. «Avevo sei anni quando ho iniziato a praticare danza classica con la maestra Caterina Ricci, lei mi ha fatto capire il senso del dovere, del sacrificio e della sofferenza, perché la danza è anche questo. Amavo questa disciplina, quando potevo mi allenavo tutti i giorni. Il coronamento dei miei sogni da ballerina è stato durante un saggio in cui ho eseguito una coreografia insieme a un ballerino, ci esibimmo al Teatro Calabresi». Dopo la danza arrivò anche il tennis al circolo Maggioni e la ginnastica artistica con il professor Fausto Giorgini. E poi c’era lo sci che ha iniziato a praticare grazie al padre. «Quando era libero da impegni, cosa che non capitava spesso, mio padre ci portava a sciare in località vicine come Forca Canapine o Passolanciano così da poter rientrare in giornata. Era intorno agli anni Sessanta, gli sci erano di legno e per raggiungere la vetta dovevamo andare a piedi, non c’erano ancora skilift». Assessore alla cultura per dieci anni, dal 2006 al 2016 quando era sindaco di San Benedetto, Giovanni Gaspari, la politica è stata la seconda passione di Margherita, dopo quella del medico.

L’impegno politico

«Mi sono sempre interessata di politica, ma soltanto in un’età più matura ho deciso di impegnarmi attivamente. Conservo dei bellissimi ricordi di questi anni di impegno amministrativo. E’ bello poter essere utile alla comunità ad esempio con la riapertura del Cinema Concordia. Poi a un certo punto ho dovuto scegliere tra professione e politica perché le due attività non erano più conciliabili. Così ho deciso di dedicarmi esclusivamente alla mia professione, che da appena laureata mi ha richiesto una lunga gavetta tra guardie mediche estive e supplenze, ma ne è valsa la pena. Per me l’ospedale di San Benedetto è una seconda casa dove sono nata, cresciuta anche insieme a mio padre, e dove lavoro con passione ancora oggi».

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