Il senso del dovere e l'attaccamento al lavoro, Emilio li ha imparati dal padre. Quando il primogenito, studente di Ragioneria, annunciava la promozione, per “premio” lo prendeva a lavorare in pescheria, al Vivaio Adriatico di corso Mazzini. Emilio Magistrelli ricorda quella gavetta con gratitudine. «Commerciante di pesce all'ingrosso e al dettaglio, per tutta la vita papà si è alzato ogni mattina alle 4, per andare al Mandracchio e scegliere il pescato migliore. D'estate, quel mese in negozio mi faceva gustare meglio quello che mi restava delle vacanze». Dal padre, ha preso anche la gioviale capacità di relazionarsi col pubblico, una carta vincente nella professione di bancario, che poi avrebbe esercitato. «Appena diplomato, una volta iscritto a Economia ad Ancona, papà mi suggerì di andare a imparare qualcosa di più sul campo».
A Milano
Emilio andò a Milano, dove fu assunto all'Ente Nazionale Previdenza Dipendenti Enti Diritto Pubblico.
L’upgrade
«Primo “upgrade”, 75mila lire in busta paga, quasi il doppio». Adesso sì che può metter su famiglia. Nel '66 sposa Nadia, nel '67 nasce Stefania, nel '70 Roberta. Vanno a stare in via S. Margherita. Ma quando il direttore gli propone un periodo di “addestramento” - in trasferta in altre filiali, ogni città un settore diverso – non ha bisogno di pensarci a lungo. «Prima sede, Trieste, nel '71. Del terremoto di Ancona non ho sentito neanche una scossa. Poi, Venezia, dove sono arrivato d'estate, con tutti gli alberghi pieni. La prima notte, ho dormito sotto le stelle, in una gondola». Nella sede centrale, in cui lavora, all'ingresso sono allineati gli stivaloni verdi per l'acqua alta. Ad Ancona, dopo Prato, Ravenna, Perugia e Foggia, torna nel '74, promosso funzionario. Anzi ad Ascoli Piceno, da dove, due anni dopo, parte per Mantova. «Con tutta la famiglia. Una città stupenda, una clientela di grande correttezza, ma tanta nebbia d'inverno, e feroci zanzare d'estate».
Il ricordo
Di tutte le sue trasferte, Emilio ricorda con più nostalgia quella di Carrara. «Direttore di filiale, fino all'85. Con l'indotto creato dalle cave e dalle segherie, il nostro giro d'affari internazionale era superiore a quello di Firenze: operazioni da milioni di dollari». Tra i suoi clienti c'era il presidente della Carrarese, la squadra di calcio cittadina, che quell'anno giocava in serie C nello stesso girone dell'Ancona Calcio, «di cui ero tifoso fin da bambino. Mio padre, finché ho lavorato fuori, mi ha mandato ogni lunedì il Corriere Adriatico, con i commenti e i risultati». Da direttore attento al fair play qual è, Emilio contatta Natale Maiani, il presidente dell'Ancona, e lo invita, col vice Remo Gaetti, a mangiare in un posto caratteristico alle cave di marmo: c'erano anche il presidente e lo staff della Carrarese. «E al tavolo accanto, erano seduti l'arbitro e i guardalinee: quella partita avremmo potuto risolverla a tavolino». Ride amaro, Emilio: «Noi perdemmo. L'indomani, davanti al mio ufficio in banca, c'era la fila dei colleghi che venivano a farmi le condoglianze».
La rivincita
Ma poi ci fu la rivincita, dieci anni dopo, quando l'Ancona passò in serie A. «Per festeggiare, mio padre fece fare un'enorme torta che rappresentava il Passetto. L'allenatore Vincenzo Guerini era un amico di famiglia». A quel tempo, Emilio era ormai tornato a casa, aveva lasciato la Bnl, chiamato da Luigi Bacci a dirigere la Banca Popolare di Ancona, in piazza Roma. Emilio ricorda: «Un grande feeling, con tutti i “ragazzi” della Popolare. Contro di loro, vent'anni prima, avevo giocato chissà quante partite di calcio tra bancari, nel campetto fangoso di Vallemiano».