Catia Uliassi, sorella e anima nel ristorante dello chef stellato: «Io, Audrey e le stelle. Così dipingo con Mauro»

Catia Uliassi, sorella dello chef stellato
Catia Uliassi, sorella dello chef stellato
di Maria Cristina Benedetti
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Domenica 15 Agosto 2021, 04:10 - Ultimo aggiornamento: 16:09

SENIGALLIA - Cuore e creatività, la quarta stella è lei. Catia Uliassi brilla, ma con amabile discrezione. «Buondì, probabilmente il messaggio è per mio fratello Mauro, lo chef, in tal caso le lascio il numero. Buonissima giornata». La sua risposta su WhatsApp alla richiesta d’intervista è una metafora del garbo che la muove, meglio ancora che l’ispira.


No, è proprio con lei che vorremmo conversare.
«Mi piace, accetto subito. Eccomi».

 
Estate. Cosa risponde? 
«Lavoro. Sempre, e con grande passione. Soprattutto in questa stagione, dopo due anni di chiusura. C’è voglia di uscire, di fare. Fortuna che ce n’è tanto, di lavoro, infatti abbiamo mantenuto i due giorni di riposo, il lunedì e il martedì. Sa, da noi un pranzo può terminare anche alle sei del pomeriggio e alle sette si ricomincia con la cena».
Più che un ristorante stellato, il vostro, pare un tempio dell’accoglienza.
«La nostra missione è far sentire bene i clienti, che siano affezionati, amici o new entry. Come fossero a casa. Io vivo in sala per accompagnarli in questo percorso sensitivo. Mi occupo di allestirla, una grande passione».
Un’altra. 
«La mia dimora e il mio locale sono a mia immagine. Ricerco sempre elementi particolari: un fiore, un vaso, un piccolo dettaglio. Per i bambini che vengono da noi ho sempre le bolle di sapone e nel dehors che si apre sulla spiaggia c’è una grande cesta di vimini con paletta, rastrello e secchiello. L’occorrente per non annoiarsi». 
Un viaggio nel gusto, in tutte le sue declinazioni. 
«È la nostra scuola, ricevere con grazia. Lo dico sempre alle mie ragazze e ai miei ragazzi: easy. Mai compostezza affettata, ricercata, forzata». 
Il suo mantra evoca il focolare domestico. Di lusso.
«No, ribadisco, di gusto. Da noi vengono dall’Italia e dal mondo: gli stranieri sono tornati. Fortuna. Lo ammetto: il fatto che si prenotano con mesi e mesi di anticipo fa venire un po’ d’ansia. L’aspettativa che si genera è tanta. C’è qualcuno che arriva persino con un regalo: una bottiglia d’olio, un mazzo di fiori. I bimbi talvolta ci lasciano un loro disegno per ricordo. Gioie inaspettate».
Basta lavoro, cosa fa nel tempo libero? 
«D’estate ne ho davvero poco. Vado al mare, con l’agenda delle prenotazioni e il computer. La mattina mi sveglio presto e passeggio con il mio cane. Quando posso, ceno con mio figlio Gianmarco, che ha 24 anni e vive fuori per studio. Scienze politiche. Il mio orgoglio».
E suo marito? 
«È il secondo di mio fratello. Mauro anche lui. Sono trent’anni che vivono in simbiosi, e io con loro. Sono diventati simili. Grandi amici». 
Il suo libro sotto l’ombrellone? 
«Ho letto talmente tanto durante i periodi di isolamento da Covid che ora non riesco. Comunque amo Carofiglio e Sepulveda. Mi sono goduta Le assaggiatrici di Rosella Postorino». 
Torniamo al mare. Lo definisca.
«Una fortuna. Io l’ho sempre avuto negli occhi sin dalla nascita. Lavorarci di fronte è un privilegio. Calmo, increspato, in tempesta. Non è mai uguale ed è sempre un aiuto nelle difficoltà». 
Altro giro, altra passione.
«La pittura. Una pennellata me la concedo sempre. Ci sono giorni che dipingo anche tutto il tempo. Sparisco nel mio piccolo studio-angolo segreto che ho ricavato in casa».
La scintilla? 
«Nel 2000 un’azienda turca di jeans ci aveva chiesto di organizzare un’iniziativa promozionale alla Rotonda. Io, come sempre, dovevo creare l’atmosfera. Il tema era la pop art. Mi spedirono un tir di tele denim. Iniziai a pitturarle. Poi, alla fine dell’evento, le montai, qualcuna la vendetti con la Fondazione Palladini, da sempre impegnata sul fronte delle malattie neuromuscolari».
Iniziò a crederci?
«Esatto. Organizzai diverse mostre a Senigallia. Nel 2015 andai con mio marito a Hong Hong: io esponevo e lui cucinava riprendendo i colori dei miei dipinti. Una performance che abbiamo riproposto a Le Cirque di New York».
Creativa.
«Non so. Direi che sono alla ricerca del bello, ovunque, inteso come equilibrio, armonia».
E gli abiti che indossa? 
«Sono il mio linguaggio». 
Cosa comunica?
«Non mi interessa vestire bene, voglio sentirmi nei miei panni». 
Oggi quali sono? 
«Abiti lunghi, morbidi, meglio se di lino, da indossare con un paio di ciabattine. Mai più il tacco dieci che adoravo anni fa. Vestiti, più che gonne e pantaloni».
Il suo colore-must?
«Il bianco».
Assoluta.
«Essenziale».
A chi la paragonano? 
«Le mie ragazze dicono che sono sempre in tiro. Scherzando, mi chiamano Audrey Hepburn».
Un’icona di stile, ci può stare.
«Tutta la vita. È sempre stato il mio mito».
Il suo piatto?
«La pasta di Pietro Massi con bottarga, pistacchi e rosmarino.

Cucinata da mio marito».

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