Sergio Schiavoni e lo stoccafisso portato da Ancona a Roma: «La nostra amicizia sopravvissuta a tutto»

Da sinistra Michele e Arnaldo Ippoliti con Arnaldo Forlani
Da sinistra Michele e Arnaldo Ippoliti con Arnaldo Forlani
di Lorenzo Sconocchini
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Sabato 8 Luglio 2023, 02:10 - Ultimo aggiornamento: 11:28
ANCONA Tutti i mesi, una visita a Roma. E nell’auto che lo accompagnava a casa dell’amico malato, Sergio Schiavoni spesso aveva una pentola sigillata con dentro una robusta razione di stoccafisso all’anconetana. «Arnaldo me lo chiedeva al telefono. “Fammi fare da Gabriella un po’ di stoccafisso” e mia moglie non si risparmiava...». Con Arnaldo Forlani s’erano conosciuti ad Ancona grazie a Michele Ippoliti, forlaniano di ferro, storico segretario della sezione Dc del Pinocchio. Da allora un feeling particolare, tanto che, svela ora l’imprenditore anconetano, fondatore dell’Imesa, in occasione del primo incarico da Presidente del Consiglio, nell’ottobre 1980, Forlani gli propose di seguirlo a Palazzo Chigi come consulente. «Mi fece anche vedere quella che sarebbe stata la mia stanza, gli serviva uno con i piedi per terra, ma io mi spaventai, avevo un’azienda da portare avanti». Fin quando la salute glielo ha permesso, ogni tanto Forlani tornava nelle Marche, per una rimpatriata con i fedelissimi dello Scudocrociato di un tempo, provincia per provincia. «Io lo accompagnavo, è stato sempre un signore della politica, buono e lungimirante - ricorda Schiavoni -. Anche quando non aveva più incarichi pubblici, ha mantenuto lo spirito di servizio, aiutava chiunque ne avesse bisogno».


Tifoso moderato


Non li ha divisi nemmeno l’opposta fede calcistica, Arnaldo interista e Sergio milanista. «Era un democristiano moderato anche nelle passioni sportive», ci ride su. Non li ha divisi, anzi, l’aver attraversato insieme le forche caudine di Tangentopoli, uscendone assolti e a testa alta. «Non fosse stato per l’amicizia nei confronti di Arnaldo Forlani, avrei subito patteggiato, pur essendo innocente. Non vi immaginate quanto tempo e quante sofferenze mi sarei risparmiato». All’indomani della sentenza d’appello che, il 15 gennaio 2004, lo mandò assolto nel processo su presunte tangenti in cambio di appalti dell’Eni-Snam, Sergio Schiavoni, spiegò quanto intimo e radicato fosse il loro rapporto. Anche dopo un processo durato una decina d’anni, dalla condanna in primo grado a tre anni di reclusione all’assoluzione in appello, poi divenuta definitiva. Per la Procura di Ancona, senza il benestare (remunerato con un 5%) di Schiavoni gli appalti dell’Eni Snam erano un sogno proibito per gli imprenditori marchigiani. Un sistema che avrebbe fatto leva proprio sulle solide aderenze di Schiavoni presso l’allora potentissimo leader della Dc. Tesi smontata in appello, quando i giudici presero per buono quanto Schiavoni andava giurando da dieci anni («ero un semplice agente di commercio, mai chiesto mazzette») concludendo che non c’era nessuna prova del fatto che Forlani avesse condizionato quegli appalti. «Avevo affrontato il processo per non lasciare solo nella battaglia giudiziaria Forlani - ricorda Schiavoni - e se la nostra amicizia è sopravvissuta è stato possibile perché era un sentimento vero, senza spazio per il tornaconto». 
 

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