Il presidente della Croce Rossa Matteo Carlocchia: «Una vita dedicata al prossimo, mia nonna è stata un esempio»

Il presidente della Croce Rossa Matteo Carlocchia: «Una vita dedicata al prossimo, mia nonna è stata un esempio»
Il presidente della Croce Rossa Matteo Carlocchia: «Una vita dedicata al prossimo, mia nonna è stata un esempio»
di Valentina Berdozzi
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Domenica 19 Novembre 2023, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 20 Novembre, 07:20

Guardi in aria e il cielo di Lisbona è solcato da tante linee. Corrono su e giù, da destra a sinistra e viceversa, si intersecano, si rincorrono e là sotto tanti tram colorati sferragliano portando in giro per la città vite, storie e volti. Ragnatela che vista da sotto avvolge il cielo e inquadrata da sopra sembra inglobare una capitale intera, da quelle linee dipende tutto il traffico della città. Incastri perfetti per geometrie a volte casuali e a volte studiate, come nella vita di qualsiasi persona che creda che se qualcosa capita, forse, è per una ragione lì per lì apparentemente imperscrutabile ma, di sicuro, ben precisa. Di ragioni così, misteriose ma altamente ben orchestrate, nella vita di Matteo Carlocchia - manager del marketing e della comunicazione, organizzatore di eventi e, dal 2019, presidente del comitato di Porto Potenza Picena della Croce Rossa Italiana - ce ne sono state tante. Tutte valide e tutte ben orientate, a costruire il profilo di una persona che, fermandosi un attimo e guardano indietro, quelle linee guida non può non riconoscerle.


L’impegno 


Il primo segno è l’agenzia di comunicazione e marketing di mamma Antonella e babbo Mario: «Quella nata prima di me, il luogo dove mia mamma mi racconta sempre che mi ha fatto entrare che ero appena un neonato - comincia Matteo -. Da piccolo passavo ore e ore in ufficio, quando non ero in giro con i miei genitori sui set delle varie campagne pubblicitarie che seguivano. In qualche modo, tra i loro pc Apple ci sono cresciuto. Che strazio, però, quando alle medie tutti i miei compagni mi ricordavano, prendendomi in giro, che con i loro Microsoft avevano a disposizione una rete infinita di videogame che quelle mele morsicate dei Pc dell’ufficio non potevano certo garantirmi. Io avevo sì e no un solo gioco a disposizione e loro avevano proprio ragione», ride oggi. Il suo tempo d’allora - assicura Matteo - era pieno di altro. Innanzitutto della compagnia di nonno Duilio e poi - confessa con un pizzico di commozione mista a gratitudine - dell’immensa aura di nonna Giovannella, «la mia nonna materna e il più grande esempio di cosa significhi spendersi a spada tratta per il prossimo senza pretendere nulla in cambio. È stata per me un faro, una vera fonte di ispirazione. Ricordo ancora con dolcezza il giorno in cui, dopo una nevicata storica e la macchina sommersa di neve, mi chiese di accompagnarla in ufficio perché doveva seguire chi stava aiutando.

Cercai di farla desistere ma non ci fu nulla da fare: chi aveva bisogno di lei non poteva aspettare, né lei voleva starsene con le mani in mano perché là fuori - mi disse - sono tutti uguali e a tanti serve solo un po’ di aiuto, un gesto di conforto, un cenno di supporto».

Un insegnamento potente. Al ricordo di nonna Giovannella si intrecciano tante parole, gesti, azioni, «le sue battaglie in prima linea, le miriadi di iniziative intraprese e tutte le lettere scritte con cipiglio e coraggio agli amministratori locali, alle più alte cariche istituzionali, persino al Presidente della Repubblica». Tutte le linee convergono attorno a quella figura essenziale mentre nella mente si fa spazio il baleno di un momento lontano che però, torna subito attuale. «Avevo 16 anni ed ero nel mezzo di un’uscita con il mio gruppo Scout - comincia - un attimo di distrazione e finisco dentro un burrone, da cui facevo fatica a risalire. Nei minuti eterni in cui provarono a tirarmi su, mentre penzolavo nel vuoto nel terrore di non riuscire a salvarmi, mi vennero in mente le parole di Papa Giovanni Paolo II e il suo “Aprite le porte a Cristo”.

Fu un’illuminazione improvvisa, uno tsunami di consapevolezza, un’onda energetica che mi attraversò tutto e mi spalancò alla sola verità che, se c’è un senso nella vita, consiste nello spendersi per il prossimo, con sincerità e senza contropartite. Un insegnamento di una forza dirompente che, negli anni a venire, ho coltivato senza esitazioni e portato ovunque con me: tra i miei amici Scout, tra i compagni dell’Associazione Stella, con cui ci siamo esibiti nel 2005 alla Giornata Mondiale della Gioventù di Colonia nel musical Jesus Christ Supestar, nella mia quotidianità di ragazzo creativo, proiettato al futuro e sempre altruista. Una consapevolezza che mi ha accompagnato anche quando, a 18 anni, feci a mia madre una delle richieste più strane che si possano sentire da un ragazzo di quell’età: per festeggiare la tanto attesa candelina non volli nessuna festa, ma un biglietto per accompagnare i malati a Lourdes con il Treno bianco dell’Unitalsi».
 

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