Nonostante l’eco assordante delle bombe in Ucraina, la guerra sembra riscuotere sempre meno interesse. In questi giorni, la priorità è diventata il caldo soffocante. La siccità mette a rischio i raccolti, la biodiversità e la nostra salute. Avevo scritto diverse settimane fa, proprio nelle colonne di questo giornale, che ci stavamo avviando verso una delle estati più calde degli ultimi 200 anni. Sarà possibile fare un bilancio solo alla fine dell’estate ma è evidente che in un quadro internazionale così fragile con la paura di non essere in grado di far fronte alla crisi energetica, la crisi idrica e climatica non può che preoccuparci ulteriormente. Al di là delle statistiche, che indicano temperature anche 4-5 gradi sopra la media, abbiamo anche capito che l’Italia, una regione con grande ricchezza d’acqua e tante centrali idroelettriche che producono l’energia rinnovabile, potrebbe essere costretta a spegnere alcune di queste e a fare i conti con un’ulteriore povertà energetica. So che a questo punto potrà suonare un po’ retorico come un: «Ve l’avevamo detto…» ma è proprio così: i ricercatori dicono da molti anni che ogni estate sarà seguita da altre estati anche peggiori. Va detto chiaramente che il riscaldamento sul Pianeta non sarà omogeneo, né costante, ma si manifesterà con andate di calore sempre più forti e durature, a cui seguiranno delle vere e proprie tempeste, scatenate dall’eccessivo calore che scalda il mare. Lo dimostra lo sviluppo di uragani, anche in Mediterraneo, dove non c’erano mai stati. Altra conseguenza saranno le bombe d’acqua che si riverseranno sulle nostre regioni in autunno, senza però risolvere i problemi dell’agricoltura anzi aggravandoli perché gli ecosistemi hanno bisogno di una pioggia più frequente e meno intensa. Questo scenario apocalittico è sempre più evidente anche negli ultimi anni con le alluvioni del centro e del Nord Europa. Le soluzioni sono sempre state due: la prima è quella di sviluppare un piano di adattamento ai cambiamenti climatici che ci permetta di subire meno danni possibili dai cambiamenti in corso; la seconda è la mitigazione dei cambiamenti climatici, ovvero agire in modo robusto per diminuire le emissioni di CO2. Il rischio è che la politica italiana prenda ancora una volta la strada sbagliata. La transizione ecologica è la risposta a questi problemi, ma la guerra sembra aver rallentato la spinta propulsiva di questa rivoluzione. Nelle ultime settimane abbiamo sentito parlare di riapertura delle centrali a carbone, dei pozzi petroliferi o addirittura del rilancio (folle) del nucleare di quarta generazione che, per inciso, vorrebbe dire avere almeno 50 piccole centrali nucleari in Italia e almeno due nelle Marche.
* Docente all’Università Politecnica delle Marche e presidente della Stazione zoologica-Istituto nazionale di biologia, ecologia e biotecnologie marine