Provate a immaginare buona parte d’Italia senza vigneti e quindi pranzi e cene senza vino, brindisi senza le bollicine nostrane.
Non è una immagine distopica ma realistica. Se le temperature globali dovessero aumentare di oltre 2 gradi entro la fine del secolo, rischia di sparire fino al 90% delle attuali zone produttrici di vino in pianura e nelle zone costiere, a causa della siccità e delle frequenti ondate di calore legate al cambiamento climatico. A dirlo è un recente studio di un gruppo di ricerca francese guidato da Cornelis van Leeuwen dell'Università di Bordeaux e pubblicato dall’autorevole rivista scientifica Nature Reviews Earth & Environment.
LO SCENARIO
In realtà, la situazione è già pesante adesso, come dimostrato dai più recenti dati dell’Organizzazione internazionale del vino e della vigna: la produzione mondiale di vino, per colpa di siccità, ondate di caldo, incendi, gelate precoci o piogge è diminuita del 10,5% nel 2023, toccando con 237 milioni di ettolitri il livello più basso dal 1961. Il raccolto ha sofferto particolarmente in Italia (-23% a 38 milioni di ettolitri, mai così dal 1950) e in Spagna (-21% a 28 milioni di ettolitri) mentre è leggermente aumentato in Francia (+4% a 48 milioni di ettolitri), consentendole di superare l’Italia e divenire il maggiore produttore al mondo. Cali della produzione anche nei tre Paesi leader (Cile, Australia e Sud Africa) dell’emisfero Sud. Le piaghe che hanno colpito la vite sono le più disparate. Durante la conferenza stampa di presentazione dei dati a Parigi, è stato fatto notare che, proprio in Italia, ad aggravare le conseguenze delle piogge, possono essere stati fenomeni come la mancata difesa del territorio. Tuttavia, ha detto John Barker, direttore generale dell’Oiv, «la sfida più grande per il settore è il cambiamento climatico che colpisce gravemente la vite, una pianta perenne spesso coltivata in aree vulnerabili».
IL PROGETTO
L’Italia è però anche capofila di un progetto che coinvolge 30 Paesi, i cui rappresentanti si sono incontrati il mese scorso in Franciacorta, su invito del ministro all’agricoltura Francesco Lollobrigida. «C’è stata – afferma Luigi Moio, presidente dell’Oiv – una convergenza totale da parte di tutti i 30 Paesi. Vogliamo continuare a coltivare uve di qualità in questo nuovo scenario e lo strumento fondamentale è la vite. Noi disponiamo di quasi 10mila varietà di vite in tutto il mondo che possono effettivamente aiutare diversi Paesi. Quindi potrebbe esserci uno scambio di varietà più adatte a diversi territori». Lo studio dell’università di Bordeaux stima che – sempre per effetto del riscaldamento globale – dall'11% al 25% delle attuali regioni vinicole potrebbero sperimentare un aumento della produzione (come nello Stato di Washington), mentre nuove aree idonee alla viticoltura potrebbero emergere a latitudini e altitudini più elevate (ad esempio nel Regno Unito meridionale).
Ecco perché sono utili la ricerca e gli scambi delle varietà. Per quanto riguarda l’Italia, non è detto che il crollo della produzione nell’ultima vendemmia (5,9 milioni di ettolitri in meno) sia un male, considerando le eccedenze nelle cantine italiane (53,2 milioni di ettolitri al 31 marzo). L’eccesso invenduto è una conseguenza del calo del consumo mondiale di vino del 3% (221 milioni di ettolitri, il livello più basso dal 1996). Tendenza – secondo l’Oiv – in parte legata all'inflazione, che ha fatto aumentare i costi di produzione e quindi il prezzo di una bottiglia, riducendo al contempo il potere d'acquisto dei consumatori. «Ma attenzione, non facciamoci illusioni», ha avvertito durante l’ultimo Vinitaly il presidente dell’Unione Italiana Vini Lamberto Frescobaldi. Il calo del consumo pro capite di vino degli italiani dai 55,8 litri l’anno del 2010 ai 26,3 del 2023 è un dato di fatto. «Il problema – spiega – è strutturale, non passeggero. Il nostro mondo si salva se guarda attentamente alle esigenze del consumatore, è lui che comanda.
L’EXPORT
Il problema, denuncia l’Uiv, è che contrariamente a quanto già succede da due anni nel resto dell’Unione Europea, non è ancora possibile per le imprese elaborare il prodotto negli stabilimenti vitivinicoli, anche perché non sono state fornite indicazioni agli operatori sul regime fiscale. «Il prodotto – sintetizza Castelletti – può circolare anche in Italia, come in tutta l’Ue, ma i produttori italiani non possono produrlo». Il successo di presenze e di interesse del Vinitaly del mese scorso ha dato, comunque, un po’ di ottimismo al settore, corroborato dai dati appena resi noti relativi a gennaio. Il 2024 è partito con il piede giusto. L’export – stando alle elaborazioni di Winenews su dati Istat – nel primo mese dell’anno ha toccato i 539 milioni di euro, cioè un incoraggiante +13,5% sullo stesso mese 2023 (chiuso a -0,8% in valore, a 7,8 miliardi di euro), supportato da un buon +11,2% in volume, a 150,5 milioni di litri.