La maggioranza di centrodestra ha raggiunto un'intesa sulla riforma che introdurrebbe l’elezione diretta del presidente del Consiglio, la cosiddetta riforma del premierato. E' arrivato il via libera alla norma chiamata ormai «anti-ribaltone», lo ha dato in mattinata Giorgia Meloni dal Giappone, per telefono al ministro per le Riforme, Elisabetta Casellati, che ha lavorato nel week end sul testo. Quattro sono gli emendamenti al ddl presentati a Palazzo Madama dal governo, non dai capigruppo di maggioranza come previsto, perché «così si rafforza il senso dell'intesa raggiunta», spiega Alberto Balboni, relatore FdI e presidente della commissione Affari costituzionali del Senato «Sono gli italiani" dirà qualche ora dopo la premier, "se passa la riforma, a scegliere da chi essere governati". Dopo una lunga e travagliata gestazione e un lungo week end di lavoro, la Commissione Affari Costituzionali del Senato è riuscita a trovare la quadra sulla questione più controversa, ovvero, quella relativa all’eventualità della sfiducia o delle dimissioni del Presidente del Consiglio.
Cosa cambia
Nel testo finale infatti si rafforza per il premier eletto dal popolo la prerogativa di chiedere al Quirinale il voto se viene sfiduciato. Prima si prevedeva il subentro di un secondo premier della stessa maggioranza, attribuendo a lui un potere maggiore dell’eletto, perché alla fine del suo governo il Parlamento sarebbe stato sciolto. L’incongruenza segnalata da quasi tutti i costituzionalisti in Commissione è stata corretta nel nuovo articolo 4: se il premier viene sfiduciato «mediante mozione motivata, il presidente della Repubblica scioglie le Camere», se si dimette volontariamente e «previa informativa parlamentare può proporre, entro 7 giorni, lo scioglimento delle Camere al presidente della Repubblica, che lo dispone». Nella precedente versione il premier eletto poteva chiedere di tornare alle urne in caso di «mozione motivata» di sfiducia di una delle Camere, ma non se mancava la fiducia richiesta su un provvedimento. Per una sola volta nella legislatura può essere nominato un secondo premier della stessa coalizione, per andare avanti sul programma. Oltre ai casi di morte, impedimento permanente o decadenza, succede se il capo del governo si dimette volontariamente e neppure con un reincarico riesce a ricomporre la crisi. E' sul tema della dimissioni per un atto di sfiducia su un singolo provvedimento che si concentrano i dubbi maggiori e a cercare di dissiparli è proprio il ministro per le riforme Elisabetta Casellati «la norma, come dice il costituzionalista Marini, è chiarissima in questo senso, cioè le dimissioni in quel caso sono volontarie, non sono un atto dovuto. La parola "volontarie", secondo me, aggiunge e non toglie. Tu premier potrai infatti anche non darle le dimissioni nell'ipotesi in cui ricevi la sfiducia su un atto singolo», «ma se deve dar luogo a troppi dubbi interpretativi, uno toglie 'volontarie e ricomprende tutti i casi», conclude Casellati, spiegando che se la norma così come è «dovesse dar luogo ad un'interpretazione, allora non c'è nulla di immodificabile nella vita».
Le opposizioni
Le opposizioni non sono certo rimaste a guardare, sono stati circa 2mila emendamenti presentati la maggior parte da Avs e dal Partito Democratico.
Le tempistiche
Sui tempi ancora nulla è certo. L'intesa sulla formulazione è arrivata dopo giorni di serrate trattative in maggioranza, con la Lega che continua ad esprimere non pochi dubbi. C'è comunque la concreta possibilità che la norma venga modificata ulteriormente riguardo ai poteri del premier in caso di sfiducia, che per alcuni giuristi potrebbero essere oggetto di diverse interpretazioni, proprio quel "nulla è immodificabile" della ministra Casellati ne è la prova.
Quanto ai tempi d’esame, una volta ‘fascicolati’ i testi, spetterà al presidente della Prima Commissione di Palazzo Madama, Alberto Balboni, avanzare una proposta. Il via libera dei leader di partito è arrivato e ora l'obiettivo è quello di tornare in Aula entro marzo.