San Benedetto, attentato in Mali
"Salvato dai corpi dilaniati dai proiettili"

Maiga Silvestri e Leon Gnama
Maiga Silvestri e Leon Gnama
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Domenica 22 Novembre 2015, 05:11 - Ultimo aggiornamento: 27 Novembre, 20:41
SAN BENEDETTO - “La notte prima dell’attentato terroristico mia moglie ha fatto un brutto sogno premonitore e l’indomani mi ha detto: Leon sento che oggi accadrà qualcosa di brutto”.
Leon Aharrh Gnama, 54 anni, togolose con doppia cittadinanza, collaboratore dell’imprenditore sambenedettese Giovanni Cimini titolare della Western Co, crede ai segni del destino. Assieme al collega Maiga Silvestri, che come lui vive nel Piceno (il primo a Montefiore, il secondo a Centobuchi) è scampato alla carneficina dell’Hotel Radisson Blu di Bamako in Mali dove sono morte 27 persone.






“Dovevo partecipare a una conferenza per conto della società che abbiamo con Cimini - racconta Leon dal Mali da dove ripartirà proprio oggi per tornare nelle Marche - e appena sono entrato nella hall dell’albergo ho visto tre terroristi entrare e sparare all’impazzata urlando Allah Akbar. Sono convinto che non fossero solo tre perché fuori dall’albergo c’era un’altra auto ad attenderli. Una hostess ci ha urlato di scappare e di dirigerci verso l’ascensore per salire ai piani superiori e scampare al massacro. Sentivo i ripetuti colpi di arma da fuoco che falcidiavano gli altri e istintivamente mi sono inginocchiato per cercare di non essere centrato. Poi con la coda dell’occhio ho visto i terroristi dirigersi verso di noi con i mitra in pugno. Sono entrato nell’ascensore e mi sono rannicchiato in un angolo. Purtroppo sei persone che erano con me sono state giustiziate sotto i miei occhi. I loro cadaveri mi hanno travolto. Erano cinesi, danesi, credo francesi. Li ho sentiti morire mentre cercavano di chiedere disperatamente aiuto. Nell’ascensore c’erano i resti di corpi dilaniati dalle pallottole ma il loro sangue mi ha salvato la vita. Ho fatto finta di essere morto ingannando i terroristi e in quei momenti, che mi sono sembrati un’eternità, ho pregato di potere rivedere la mia famiglia. Sentivo le voci dei terroristi che dicevano “Ok” ogni volta che uccidevano qualche ferito agonizzante. Erano scrupolosi nelle esecuzioni e sono tornati nell’ascensore un paio di volte. Quando ho sentito il conflitto a fuoco con gli agenti delle forze dell’ordine maliane non ho avuto ovviamente il coraggio di uscire dall’ascensore. Solo alle 15 mi hanno ritrovato sotto una pila di cadaveri, sconvolto, con una gamba dolorante per il peso dei cadaveri”.
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