Bernini privato, la forza e l’inquietudine nella Casa Museo Fondazione Paolo e Carolina Zani, dall’8 settembre al 29 ottobre

Bernini privato, la forza e l’inquietudine nella Casa Museo Fondazione Paolo e Carolina Zani, dall’8 settembre al 29 ottobre
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Mercoledì 27 Settembre 2023, 11:18

Inedita, in grado d’influenzare la pittura barocca romana, caratterizzata dalla presenza, in nuce, della forza ed inquietudine che contraddistinsero gli esiti scultorei più alti dell’autore. La produzione pittorica di Gian Lorenzo Bernini (1598-1680) è protagonista della mostra dossier alla Casa Museo Fondazione Paolo e Carolina Zani, che celebra il grande genio della Roma barocca attraverso una selezione di preziosi dipinti provenienti dalla collezione privata di Fabiano Forti Bernini, erede dell’artista. Il progetto espositivo è coordinato da Massimiliano Capella, Direttore della Casa Museo Fondazione Paolo e Carolina Zani, con Steven F. Ostrow e Francesco Petrucci, tra i massimi esperti dell’artista barocco. L’indagine sulla produzione berniniana nell’ambito della ritrattistica e della pittura di figura è ancora aperta. L’occasione espositiva promossa dalla Fondazione Zani esplora quindi il tema, fornendo spunti rinnovati per la conoscenza della pittura del Seicento.

Bernini, l'intimità di una visione

I dipinti realizzati da Bernini - come riportato dal figlio Domenico Bernini nella sua biografia datata 1713 - si stima fossero tra i 150 e i 200. Quelli oggi noti e ritenuti autografi, circa venticinque. La mostra-studio ne propone una selezione di quattro, unitamente al bronzetto del celebre David della Galleria Borghese, custoditi da secoli nella collezione di famiglia. Nell’atmosfera raccolta della sala dedicata alle temporary exhibitions, il David è il perno attorno al quale s’irradiano le tele raffiguranti San Sebastiano, Sansone e il Leone, l’Angelo allegorico ed il Ritratto di Martino Martini. Il titolo della mostra ribadisce l’intimità della visione, rimandando al contempo alla quotidiana dimensione privata che – eccezion fatta per occasioni espositive come la suddetta – caratterizza la visione della Raccolta. Il bronzetto, centrale nell’allestimento, assume carattere d’eccezionalità nel contesto della manifesta propensione alla grandiosità dell’autore. Emblematica la frase che il 7 settembre 1665 egli rivolese a Monsieur de Chantelou: “Non mi si parli di niente che sia piccolo”. Nella Roma barocca, e più in generale tra il XVIII e XIX secolo, complice il fenomeno del Grand Tour, molti talentuosi plastificatori si cimentarono nella produzione di piccoli manufatti come souvenir del viaggio in Italia. Al contrario Bernini raramente si approcciò alla produzione di formato ridotto, limitandosi a fornire il disegno come nel caso della scultura proposta.

Lo straordinario dipinto San Sebastiano offre una lettura del martirio del tutto innovativa rispetto alla canonica raffigurazione del Santo martire. Il capo piegato, lo sguardo indirizzato oltre la spalla (non, quindi, verso il cielo), la resa naturalistica e l’espressione rabbiosa nel tentativo di liberare le mani dalle corde, delineano l’immagine inquieta di chi Casa Museo Fondazione Paolo e Carolina Zani Via Fantasina 8 – Cellatica (Brescia) www.fondazionezani.com non accetta serenamente la propria sorte. Il quadro corrisponde certamente all’opera citata nell’inventario del 1649 dei beni del Cardinale Francesco Berberini. La provenienza è confermata dal sigillo del Cardinale apposto sul retro della tela originale, applicato alla rintelatura in occasione del restauro del 2016. L’opera, dopo una prima menzione nel 2017 nel catalogo a corredo della mostra di Bernini alla Galleria Borghese, compare un’altra sola volta, all’interno del catalogo della mostra La luce del Barocco (Palazzo Chigi, Ariccia 2020-21).

L’Angelo Allegorico appartiene alla famiglia Bernini a partire, almeno, dal XVIII secolo. Il retro dell’opera presenta infatti una ceralacca composta, per metà, dallo stemma Bernini e, per l’altra, da quello della famiglia Maccarani (moglie del primogenito di Bernini, lo scultore Paolo Valentino). La presenza del sigillo accerta come il dipinto si trovasse nella casa di Paolo Valentino, probabilmente a partire dalla morte del padre Gian Lorenzo. Lo sguardo intriso d’amore rivolto al cielo, la fiamma e il cuore, riconducono all’iconografia tradizione dell’Allegoria dell’amor divino. Inedito è tuttavia l’impianto generale.

Nel catalogo che accompagna, la mostra Steven F. Ostrow, tra i massimi esperti mondiali di Bernini, nota come “La figura alata nell’atto di librarsi sopra un segmento di globo terrestre, avvolta nella luce divina proveniente dall’alto, lascia ipotizzare che la composizione sia frutto della fantasia dell’autore. Bernini forse trasse ispirazione dalla lettura del Trattato dell’amor di Dio di San Francesco di Sales, tra i suoi scrittori prediletti in tema di letteratura religiosa”. Il volume, dato alle stampe per la prima volta nel 1616, trattava di storia, natura e dell’importanza dell’amore divino. Esposta al pubblico per la prima volta, l’enigmatica tela Sansone e il leone raffigura l’incontro brutale dell’uomo con la belva (Giudici 14: 5-6). Ancora aperto è il dibattito sul fatto che la scena possa rappresentare un altro episodio. egualmente tratto dalla Bibbia ebraica, in cui Davide uccide il leone (Samuele 17: 34-35). Se sia Sansone che Davide si attestano come soggetti popolari nella Roma cattolica dell’epoca, tra le caratteristiche che hanno portato la critica ad avere pochi dubbi sull’autografia dell’opera vi sono: l’elevata qualità d’esecuzione, la composizione del tutto originale, di notevole forza dinamica e non tratta de altre opere di Bernini, la resa scultorea del corpo assimilabile all’opera di un maestro nel pieno della propria maturità. La scelta di mostrare la figura di tre quarti, la resa cromatica dello sfondo e il contrappunto di luci e ombre, concorrono a rendere la tela assimilabile ad altre opere realizzate da Bernini nei primi anni Trenta del XVII secolo.

Di notevole qualità, il ritratto del noto missionario, geografo e cartografo Padre Martino Martini (Trento 1614 – Hangzhou 1661), potrebbe essere stato eseguito durante il secondo soggiorno romano del gesuita. Attorno al 1655, questi aveva circa quarant’anni, datazione compatibile con l’età dimostrata dal volto raffigurato. L’espressione bonaria e indulgente del soggetto ed il gusto per l’incompiuto riscontrabile nei tocchi di colore sulla tela grezza appaiono in linea con gli esiti introspettivi della ritrattistica berniniana. Come nota Francesco Petrucci, tra gli studiosi di riferimento per l’opera berniniana: “Le pennellate impressionistiche e un sapiente uso delle lumeggiature in grado di far emergere il volto dalla penombra, rendono la tela una coerente espressione del neovenetismo della scuola romana della prima metà del secolo successivo, riconducendone altresì la paternità ai modi più tipici di Bernini”.

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