Doppia vocazione: suor Lucia Ricci
e l'apostolato laico tra tele e tempere

Doppia vocazione: suor Lucia Ricci e l'apostolato laico tra tele e tempere
di Valentina Berdozzi
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Lunedì 2 Luglio 2018, 14:00
Non è mai stata facile la vita di una donna in un mondo di uomini. Non lo fu neanche per Lucia Ricci, figlia di Ubaldo, nipote di Gregorio e cugina di Filippo, pittori nella Fermo del XVIII secolo, ispiratori di un’arte che lei stessa coltivò in vita, tra sincera passione e necessità di sostentamento. Non fu semplice la vita di Lucia, nata a Fermo il 12 dicembre 1696 e battezzata nella parrocchia di San Gregorio il giorno seguente, dedicato alla festa della Santa di cui porta il nome. A completarlo, quel nome, fu l’appellativo “Suor”, che lo Stato d’Anime della sua parrocchia, datato 1711, le avvicina in quanto “pizocca”, ovvero membro della congregazione del Terzo Ordine Domenicano, il ramo secolare della famiglia domenicana dedito a una vocazione laica e attiva.

Il Registro delle Anime
Altrove, nel Registro delle Anime, quel nome cambia e diventa “terziaria”, “sora”, “pitocca”, ma non cambia la sostanza di una donna che ha speso la sua vita coi pennelli in mano un passo indietro al padre, allo zio e al cugino pittori, caritatevolmente divisa tra la bottega e la casa paterna, tra i doveri di figlia pittrice e quelli di figlia assistente. Per questo - racconta Stefano Papetti nel suo lo studio dedicato alle opere di “Ubaldo e Natale Ricci - Pittori nella Marca del Seicento” - nel testamento redatto di suo pugno l’11 giugno 1748, Gregorio la definisce “dilettissima mia nipote Sor Lucia”, pregandola di raccomandare a Dio la sua anima attraverso le sue orazioni e dandole in dono “un quadro tra tutti quelli che troverà nella mia casa”.

La sua abnegazione
Un premio, per la sua abnegazione, per la sua estrema modestia, per quella naturale ritrosia verso il mondano, consumata nella bottega e sublimata attraverso un’arte casta e mai sfarzosa. Attraverso pennellate omogenee, fluide, artisticamente ineccepibili, come a voler tacitare la propria personalità dietro alla perfezione del tratto e soffocare ogni anelito alla gloria, ogni segno di riconoscimento che potesse portare fama, lustro, visibilità. Per questo, scrive Papetti, si pensa che i quadri di maggior impegno sicuramente ascrivibili alla pittura di Lucia - e conservati nelle Chiese di Sant’Agostino a San Ginesio e in quelle di San Gregorio e San Giuliano a Fermo - siano stati eseguiti per soddisfare la committenza e gli impegni presi, prima della prematura scomparsa, dal padre Ubaldo.

Solo dovere
La pittura fu solo dovere per una donna che, all’attività di pittrice, alternava quella di assistente amorevole dell’anziana madre, Girolama Antonimi, e di un nucleo familiare che lo Stato d’Anime degli anni trenta del Settecento testimonia composto dal fratello sacerdote, Don Innocenzo, dalle tre sorelle - Francesca, Serafina e Bernardina - e dalla domestica, Maria Ignazia D’Antoni. A loro Suor Lucia prestava la sua caritatevole assistenza e, per loro, aveva deciso di entrare a bottega. Esattamente dopo la morte del padre, avvenuta nel gennaio 1732, e dopo il matrimonio della sorella minore, tre anni dopo, Lucia aveva iniziato il suo apostolato laico tra tele, tempere e pennelli, convinta della prova che le toccava in vita per raggiungere la gloria dei cieli.

Le forme e la posa
Quella che raccontavano le forme e la posa della Madonna del Soccorso, immagine sacra estremamente diffusa nel Fermano nel secondo quarto del XVIII secolo e utilizzata dai Padri della Missione di Fermo come ricordo da distribuire ai fedeli in occasione delle loro opere: la maggior parte di questo patrimonio venne firmata dalla stessa Lucia e prodotta nella bottega Ricci, al cui interno l’attività e il contributo della suora laica è stato più volte documentato, soprattutto a partire dagli anni ‘40 del Settecento, a incastonarsi nella parentesi di tempo tra la scomparsa del padre Ubaldo e l’avvio della carriera di pittore di suo cugino Filippo. Per l’astro nascente di casa Ricci, Suor Lucia fu una vera spalla: un aiuto prezioso su cui contare, una maestria naturale.

La sua missione terrena
Era parte della sua missione terrena, d’altronde: essere Suor Lucia ed esserci sempre, a casa come in bottega; al fianco della madre, scomparsa alla veneranda età di 84 anni nel 1755, così come alla destra del cugino, durante quella folgorante carriera che l’ha reso uno dei testimoni dell’arte nel Fermano. L’ultima volta che un registro anagrafico porta indicazioni che riguardano Suor Lucia è il 24 novembre 1789, quando un infarto e un ictus celebrale la portarono via alla soglia del compimento dei 92 anni. Circondata dal calore e dall’affetto di una famiglia che, suora laica, aveva contribuito a mantenere in piedi, lungo un’esistenza divisa tra Santi e uomini, tra cielo e terra, tra gloria e abnegazione.
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