Le tre vite di Lady Genny. La stilista Donatella Girombelli dai fasti della moda alla famiglia «Le sfilate? Meglio i nipoti»

«A loro insegno: gli ostacoli sono opportunità. Io in forma? Movimento e letture»

La stilista Donatella Girombelli dai fasti della moda alla famiglia
La stilista Donatella Girombelli dai fasti della moda alla famiglia
di ​Maria Cristina Benedetti
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Sabato 7 Ottobre 2023, 03:35 - Ultimo aggiornamento: 11 Ottobre, 13:43

Andare alla ricerca di persone che dopo aver lasciato il segno nella vita della comunità marchigiana sono uscite dalla ribalta pubblica. E scoprire come vivono oggi. È la missione che affidiamo a una nuova rubrica, “Ma che fine hanno fatto?”, partendo dall’intervista a Donatella Girombelli, Lady Genny. «Le sfilate? Meglio i nipoti».  

L'intervista

L’emozione di sperimentare insieme. Lei, Donatella Girombelli, è il personaggio prescelto per dare il via alla nostra nuova rubrica: andare a trovare le persone e scoprire se e come è cambiata la loro vita.
«Al mondo tutto è sperimentazione. Vede? Anche noi ci adeguiamo. Significa che c’è una nuova strada da svelare, il che mi intriga e mi crea ansia. Il mio lavoro era basato soprattutto sull’esperienza, ciò che avevi conquistato era un fondamento prezioso da rinnovare con garbo. Oggi vale il contrario: cambiare, innanzitutto».
Perfetto, ha suggerito l’attacco.
«Mi faccia aggiungere: testare l’altrove è indice di creatività». 
Allora proviamo. Niente più clamore per una signora della moda che, come lei, ha sfilato all’Onu, alla Casa Bianca e al Palazzo di Mao. Riordini i fattori: nostalgia del passato; concretezza del presente; imprevedibilità del futuro?
«La concretezza del presente, non ho dubbi, con uno sguardo al futuro».
La mitica Genny, che negli anni Ottanta non disegnava abiti ma scolpiva silhouette, oggi chi è?
«Una nonna soddisfatta dei suoi tre nipoti: due femminucce, di 7 e due anni, e un maschietto di 10. Assaporo la vita. Quando lavoravo ero assorbita dal mio impegno e avevo messo i desideri nel cassetto. Ora l’ho riaperto».
Si pente di qualche scelta troppo totalizzante?
«No. Avevo sempre immaginato di suddividere la mia esistenza in tre parti. La prima dedicata a imparare; la seconda a mettere in pratica ciò che avevo appreso; la terza consacrata alla famiglia». 
Scientifica. Non ha perso un colpo, e pensare che appare una creatura eterea. 
«Sono un tipo organizzato. I segni zodiacali non mentono: sono Acquario, il che mi fa sembrare evanescente, è l’ascendente Ariete che mi dà concretezza. Semplice».
Trasposizione della linearità. All’anarchia dello stile contemporaneo risponderebbe ancora con il suo suggestivo minimalismo? 
«Continuo a vestirmi così. In quel che realizzavo c’era il mio gusto, la mia impronta. Non amo gli eccessi, la follia creativa che viene proposta oggi. Se non hai personalità ne resti schiacciato». 
Ai suoi nipoti cosa racconta? 
«Sono a Milano per loro, dieci giorni al mese sono qua, vado a prenderli a scuola, me li godo».
Come vedono una nonna-icona?
«Sono orgogliosi». 
Lei, come si rapporta?
«Spiego loro, anche se sono ancora piccoli, che la vita è sacrificio e dedizione e che gli ostacoli spesso sono un’opportunità. Li incito a essere forti, come ritengo lo sia stata io».
Qual è stato per lei un punto di non ritorno?
«La morte di mio marito, Arnaldo Girombelli, nel 1980. Ero una stilista, sono stata costretta a diventare imprenditrice. Glielo dovevo: aveva creato la Genny nel ‘62, ad Ancona, non poteva finire così». 
La strada è stata lunga. 
«Nel settembre del 2001 ho ceduto a Prada».
Un rimpianto?
«Forse avrei dovuto mantenere l’azienda per mio figlio: Leonardo è consulente di molte industrie del settore. Bravissimo». 
Andata al mondo da adolescente, è tornata nelle sue Marche per la professione e qui è rimasta per amore. Riscriverebbe la stessa storia?
«Identica. Sono contenta di ciò che ho vissuto». 
Cosa la gratifica?
«Il riconoscimento di chi ha operato al mio fianco. Ho preso per mano stilisti che poi sarebbero diventati grandi: Versace, Dolce&Gabbana, Montanà, Alessandro dell’Acqua».
Girombelli come Dior: a lei Versace, al couturier francese Saint Laurent. 
«Mi piace pensarmi una scopritrice di talenti. Sono essenziale».
Come il suo stile. 
«È la sobrietà dei marchigiani». 
Le guarda ancora, le sfilate?
«Sì, do un’occhiata veloce. Oggi il brand piega la creatività, non mi piace. Nel nome di un marchio passano certe schifezze». 
È preferibile essere classici?
«Errore: la moda deve essere nuova, frizzante. Ma non deve essere trasgressione forzata». 
In un abito cerca l’armonia o la perfezione?
«L’armonia, come nella vita».
Ancora scritto in corsivo, il logo Genny è passato di mano ma non di moda. Ammirandolo è impossibile non pensare a lei che fu definita, per il suo portamento, la Grace Kelly del fashion. Che rapporto ha con la sua immagine? 
«Conosco i miei pregi e i miei difetti, che so gestire. Lo ammetto, alla mia età devo lavorarci di più».
Come?
«Mantengo il corpo in forma col movimento e la mente allenata con le letture e la settimana enigmistica». 
Il tempo che passa la inquieta?
«Lo accetto con serenità». 
Bianco&nero, sembra il suo motto. 
«Nella mia esistenza non c’è spazio per le sfumature».
 

Chi è

È arrivata in vetta al mondo, la ragazza pallida e slanciata di Marotta, che da Bolzano, dove orfana abitava con gli zii materni, aveva frequentato la Scuola di Moda Marangoni di Milano. Il giorno stesso del diploma fu ingaggiata da uno studio milanese di stilisti, che la mandò ad Ancona a disegnare i modelli per la Genny di Arnaldo Girombelli. Doveva starci una settimana, è rimasta. Una scelta romantica. Donatella Ronchi, classe 1944, la vedova di Arnaldo Girombelli, fondatore di Genny, poi di Byblos e Complice, ha assunto nel 1980 la guida della società, dopo la scomparsa del marito. E nel 1983 ne è divenuta presidente del Cda. Trent’anni di moda, tra il Palazzo di Vetro e la Casa Bianca; tra Parigi, New York e Milano. 

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