Lo scenografo Basili promuove le Marche
«Un set al naturale, qui i film più belli»

Lo scenografo Basili promuove le Marche «Un set al naturale, qui i film più belli»
di Lucilla Niccolini
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Lunedì 24 Aprile 2017, 15:39
ANCONA - E' nato a Montefiore dell’Aso, l’autore del Padiglione Zero, ingresso trionfale di Expo 2015 di Milano. Giancarlo Basili, Ciak d’oro per la scenografia di film di culto come “Nirvana”, “Luce dei miei occhi”, “Paz!” e “Sanguepazzo”, va orgoglioso del Nastro d’argento per “L’uomo che verrà” di Giorgio Diritti, girato in una campagna simile a quella marchigiana.

Anche lei testimonial delle Marche. I suoi tre buoni motivi “personali”?

«Quello principale è che sono marchigiano e ho ancora uno straordinario rapporto col mio paese e con i suoi abitanti, con i quali sono riuscito a creare “Sinfonie di cinema”, un festival culturale che ha assunto un certo rilievo. E poi, perché tutto quello che esprimo nei miei progetti artistici nasce dalle Marche. Anche il Padiglione Italia a Shanghai, e quello Zero a Milano, come pure gli allestimenti che faccio per iGuzzini».

Quando ha deciso di lasciare le Marche?

«Me ne sono andato negli anni Settanta: ero figlio di contadini, dovevo scoprire la città, andare fuori dal mio paesino. Ma mi sono ben presto accorto che non posso dimenticare da dove vengo. Sento fortissime le mie radici, quelle che mi hanno permesso di arrivare dove sono, e importante è stato il rapporto con le piccole cose e con la terra. Mi porto la sua immagine sempre con me, e sempre ci torno».

Nostalgia?

«No, perché di fatto non me ne stacco mai. Pur viaggiando moltissimo con il mio lavoro, parlo sempre della mia regione. E mi ispiro a essa, come a Francoforte per iGuzzini, un’azienda straordinaria: abbiamo realizzato un allestimento basato sulla luce, la resa tridimensionale della Città ideale di Urbino - 14 metri di lunghezza per 5 di altezza - che rende immediata la visione prospettica e architettonica. E non c’è chi non vi riconosca la matrice marchigiana. È successo anche con il padiglione Zero: un lunghissimo percorso che ricordava molto le nostre atmosfere. Quando faccio queste cose, mi rendo conto che mi è servito uscire dal guscio, ma anche che non puoi non confrontare sempre le cose che via via conosci con i ricordi positivi che conservi dentro».

La caratteristica più significativa delle Marche?

«Col mio lavoro di scenografo del cinema, faccio spesso sopralluoghi, e mi accorgo che le Marche hanno la caratteristica di essere rimaste fedeli a se stesse. Parlo dei borghi delle mie zone, ma anche dell’entroterra: ovunque trovi uno straordinario equilibrio visivo, a parte qualche indebita contaminazione nelle periferie dei paesi: equilibrio tra l’architettura e la morbidezza del paesaggio. Un equilibrio che ha un grande approccio visivo: per questo si dovrebbero girare più film nelle Marche. Se lo meritano. I grandi registi che invito al festival di Montefiore, dopo ci tornano in vacanza. Va diffusa l’immagine delle Marche: devono essere conosciute, scoperte con gli occhi e con tutti i sensi, in ogni angolo».

Cosa cambierebbe di questa regione?

«Quando ci sto un po’ più a lungo, mi accorgo meglio di una cosa: restiamo molto chiusi nel nostro guscio. Dovremmo aprirci di più, andare a vedere cosa c’è fuori. Lo dico sempre ai giovani che mi si rivolgono per avere consigli professionali: è bene guardarsi intorno, come ho fatto io. Noi avevamo un fortissimo senso della sfida, una voglia di rivincita che forse oggi manca. Mi stava stretto, il mio posto, per il lavoro che volevo fare, e ho dovuto uscire fuori. Bologna, dove ho frequentato l’Accademia di Belle Arti, mi ha aperto nuove prospettive, e mi ha fatto anche apprezzare da dove vengo. Andate a scoprire il mondo, dico sempre, e poi… riscoprite le Marche».

Non potrebbe fare a meno di.. ?

«Della terra. Resto molto legato alla mia famiglia di origine, a Montefiore. A casa mia c’è un rapporto straordinario con la terra. I miei figli sono cresciuti nelle Marche, in vacanza dai nonni fin da bambini. E poi, a Bologna ho comprato della terra, che rappresenta la mia vita e la mia fonte di ispirazione. Io lavoro con la fantasia su grandi storie, e ogni volta che si gira un film, mi immedesimo nel progetto, nel suo immaginario. Ecco, la casa mi riporta nella realtà. E mi restituisce il necessario equilibrio, mi rimette nella dimensione quotidiana e nel rapporto con la famiglia».

Cosa le è stato più utile nella vita, di quanto ha imparato qui?

«C’è molto della mia terra nella scelta di vita: vengo da una famiglia contadina, i miei genitori hanno continuato a lavorare fino a 80 anni. A stento sono riuscito a portarli via dalla campagna, dall’enorme fatica, da cui io stesso ero scappato via. L’ho provata anch’io sulla mia pelle, quando tornavo a casa da Fermo, dove frequentavo l’Istituto d’arte. Sono loro che mi hanno insegnato l’onestà, la lealtà nei rapporti con gli altri, una grande umiltà. E poi il senso di responsabilità. Di loro mi è rimasto il modo di affrontare il mondo: lo porti dentro, assieme alle radici. E più invecchi, più le senti forti. Intendo tramandarle anche ai miei figli». Il luogo più importante per lei di questa regione? Montefiore? «Certo, ma direi le Marche tutte, senza campanilismi. Sono orgoglioso di essere marchigiano: qui ritrovo la mia oasi, dove le persone vivono con meno mezzi ma con più rapporti umani. Non rinuncerei mai a quell’equilibrio tra le persone, che non esiste in città».

I personaggi che identificano meglio il valore delle Marche?

«Architettura arte e paesaggio: non sono personaggi, ma sono decisive. Potrei citare Raffaello, Leopardi, le stesse aziende leader nei loro settori, un motore straordinario che affronta i tanti nuovi problemi. Ecco, mi piace la gente della nostra terra perché non si piange addosso, ritrova sempre la voglia di rinascita. Come i nostri contadini, quando veniva la grandine. Si rimboccavano le maniche, sospirando: si vede che Dio ha voluto così, andiamo avanti».

Quanto significano le Marche per la sua famiglia?

«C’è un legame fortissimo: ogni volta non vediamo l’ora di tornare. Tutti: mia moglie Cinzia è di Montefiore; Francesco, mio figlio, ha una ragazza del mio paese. Ha conosciuto Silvia quando aveva sedici anni, e non si sono più lasciati. Mia figlia Giulia ha festeggiato i suoi 18 anni con moltissimi amici marchigiani, che sono venuti apposta su a Bologna». Verrebbe a vivere stabilmente nelle Marche? «Ci penso ogni tanto, e chissà che un giorno non succeda. Anche perché ogni volta che vengo lì in vacanza, anche se lavoro molto per il festival, assaporo il piacere di isolarmi in un luogo bellissimo». 
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