Il nome della rosa con Eugenio Allegri:
«Vanno in scena le speranze negate»

Il nome della rosa con Eugenio Allegri: «Vanno in scena le speranze negate»
di Elisabetta Marsigli
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Venerdì 17 Novembre 2017, 13:34
A FanoTeatro da oggi a domenica “Il nome della rosa”, nella prima versione teatrale italiana realizzata da Stefano Massini sul capolavoro di Eco. In scena al Teatro della Fortuna un cast di attori eccezionale diretti da Leo Muscato tra cui spicca la presenza di Eugenio Allegri, sperimentatore linguistico ed interprete tra i più raffinati della nostra scena.

Quali le sue prime suggestioni su questo romanzo?
«È una cosa che lega molto il teatro, la letteratura e il piacere del viaggio: lessi il libro nel 1984 mentre ero in tournée con il Tag Teatro, vecchia compagnia di commedia dell’arte di Venezia. Eravamo in giro per l’Europa, come si usava con il nostro bel furgone, e lo lessi in 7 giorni, proprio come è diviso il libro. Fu straordinario, così bello e pregnante. Le mie prime impressioni le lego a questo viaggio, nel thriller dell’intrigo, nei meandri della ricerca della verità, molto simile al viaggio dei commedianti dell’arte, quasi fosse una sorta di destino».

Molte sono le attinenze sociali e culturali con il contemporaneo?
«Direi anche politiche. Questo libro mette fine agli anni 70, è amaro per quello: quel rogo finale della biblioteca sa molto del rogo della ricerca della conoscenza di quegli anni. L’amarezza descritta fa il parallelo con le speranze negate e quella ricerca di una verità non assoluta. E mi riguarda molto, visto che ho fatto politica in quel periodo: da pochi mesi era morto Berlinguer. Ogni volta che ascolto le battute di questo testo mi vengono in mente i suoi discorsi e quelli di Moro, tutti pensieri che invitavano la comunità a ragionare. Una metafora molto forte della nostra Società che vedeva andarsene anche Pasolini: sì, c’è anche molta poesia».

Lei interpreta due personaggi molto contrapposti?
«Dissi subito a Muscato che volevo fare il cattivo! Ma alla fine un “superbuono” come Ubertino da Casale e il cattivissimo Bernardo Gui sono un po’ l’uno l’altra faccia dell’altro e sono gli unici due personaggi realmente esistiti: Bernardo ha la responsabilità della fine dei Catari a Tolosa, ha scritto il manuale dell’inquisizione e “deve portare a casa il risultato”, mentre Ubertino è quello che usa la dimensione mistica per nascondere una dimensione diabolica, condito dal fatto che ammette le debolezze dell’uomo e le usa come alibi per compensare la debolezza intrinseca dell’umanità».

In scena con altri 12 attori: come si trova un solista in una orchestra?
«Spesso faccio monologhi in cui interpreto 30-40 personaggi, tanto che qualcuno mi ha detto “in scena reciti in maniera sinfonica” cosa che Carmelo Bene diceva di sé! Ma in realtà ho sempre alternato la mia presenza in spettacoli corali, non ho mai smesso di pensare che il teatro è molto bello quando ci si assume la responsabilità individuale in accordo col gruppo. Qui poi sono tutti davvero molto bravi».

Come prosegue il lavoro sul Mistero Buffo con Matthias Martelli?
«Molto bene, abbiamo avuto un battesimo di fuoco con 900 studenti, superato benissimo e attendiamo il debutto ufficiale a gennaio a Torino. Il confronto con il pubblico ci conforta: il lavoro è proprio quello che avevamo improntato con Fo».
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