Uzbekistan, da Samarcanda a Khiva
La via della seta seguendo Tamerlano

Uzbekistan, da Samarcanda a Khiva La via della seta seguendo Tamerlano
di Jolanda Brunetti
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Mercoledì 21 Giugno 2017, 12:20
Uzbekistan, un paese che riserva molte sorprese. Ha rispettato tutte le premesse di sviluppo ordinato impostate dopo l’uscita dall’Unione sovietica. Riforme per piccoli passi: la laicità dello Stato, un ruolo significativo delle donne nella società, la valorizzazione del patrimonio storico-artistico, un più ampio orizzonte educativo, che rispetta lo “spirito della nazione”.

Il profumo delle tisane
Le sorprese nascono per noi occidentali dai mercati delle spezie, dai ristoranti nel mezzo del deserto, dalle periferie di case basse intorno alle città vecchie, dalle strade cittadine ben tenute, dai treni turistici che collegano Bukhara e Samarcanda a Tashkent, dalla gentilezza naturale delle persone, dal profumo delle tisane nei bar tradizionali, dalla cortesia dei camerieri. E poi, dalla competenza e affabilità delle guide, giovani uomini e donne orgogliosi di essere uzbeki.



Le cupole azzurre
Il rispetto di tradizioni laiche e contadine, in contrasto col radicalismo islamico, ben si coniuga nelle varie forme di venerazione della gloriosa storia di Amir Timur-Tamerlano, con le sue leggendarie conquiste e la sua liberalità verso scienziati, artisti e artigiani, vanto di Samarcanda.
Ecco, la città di Tamerlano, che ha un’università specializzata in lingue straniere, dove vent’anni fa introdussi l’insegnamento dell’italiano. Lì si formano le guide che accompagnano i nostri connazionali, in numero sempre crescente. Le cupole azzurre della città fanno allegria, il verde è ovunque, la pulizia accurata. Spiccano le tombe reali, quella del santo Daniele, il Mausoleo di Tamerlano, l’osservatorio dello scienziato Ulug Beg, la moschea gigantesca di Bibi Kanum. E poi il magnifico Rajistan, una grandiosa piazza circondata da tre gigantesche madrasse, le cui porte si aprono su giardini interni di meditazione e preghiera. La notte, sapientemente illuminata, è una fiaba orientale.

Sulla via della seta
Con Samarcanda, vanno visitate le città più significative della via della seta, Tashkent, Bukhara e Khiva: oasi del deserto, bellissime, un tempo potenti emirati di cui mantengono le vestigia. A Tashkent sono stati cancellati i vecchi quartieri sovietici, sostituiti da palazzi di fogge neoclassiche, musei eleganti, nuovi e vecchi hotel restaurati, ristoranti multietnici e caffè in antichi giardini. Il traffico non si insinua vicino alle nuove madrasse e moschee, lasciando immutato il miracolo del silenzio, un silenzio pregno di storia e di civiltà, vicino a vecchi monumenti nel centro storico, come il Casino di caccia degli Zar.



La città del deserto
Ma è Bukhara la vera città del deserto, color sabbia, con mausolei del Mille, minareti come fari per le carovane, vecchi antri pieni di pellicce e sciarpe di seta, stoffe dai colori intensi, cappelli e borse di pelle. E nel mercato coperto si trovano anche vecchie porcellane, argenti, costumi tradizionali, legno lavorato. È la città che preferisco: ospita il Mausoleo Chasma Ayub (Sorgente di Giobbe), un edificio stretto e spoglio, di influenza mongola, coronato da tre cupole: una bassa e circolare, la seconda conica, e l’ultima rotonda, elevata.
Non ho mai potuto apprezzare il silenzio come a Khiva, all’estremo ovest, che vanta la più bella moschea dell’Uzbekistan. Qui, il silenzio non è assenza di suoni, è uno spazio di meditazione, di sospensione del tempo.

Le premesse rispettate
È il Paese delle riforme per piccoli passi: la laicità dello Stato, un ruolo significativo delle donne nella società, la valorizzazione del patrimonio storico-artistico.



La gentilezza naturale
Il turista viene conquistato dalla gentilezza naturale delle persone, dal profumo delle tisane nei bar tradizionali, dalla cortesia dei camerieri.

Le opere dei dissidenti
A Nukus, una cittadina ora molto fiorente, il più grande museo dell’Asia centrale espone le opere degli artisti dissidenti dell’Urss, esclusi dal mercato, che furono acquistati dal fotografo russo Savitskiy. Fu lui a dar vita a questa raccolta di arte respinta dall’ideologia del socialismo reale.

La rotta
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