Nella città modello Servigliano
dal campo di prigionia all'Illuminismo

Nella città modello Servigliano dal campo di prigionia all'Illuminismo
di Lucilla Niccolini
3 Minuti di Lettura
Mercoledì 15 Novembre 2017, 13:10
Servigliano è perfetto esempio di città illuministica. Superato il lungo ponte ottocentesco che scavalca il fiume Tenna, si staglia all’improvviso davanti agli occhi di chi percorre la strada provinciale Faleriense che dalla costa sale ad Amandola.
Sulla piana che un tempo era luogo privilegiato delle fiere, ha la forma quadrata di un accampamento romano. Ma è insediamento recente, l’unico centro marchigiano pianificato a tavolino, nella seconda metà del ‘700. La città vecchia, Servilianus, forse dal nome di Publio Servilio Rullo, tribuno di Pompeo, i cui resti sono ancora leggibili più in alto in Contrada Curetta, aveva cominciato a franare, mettendo a repentaglio la vita degli abitanti. Le suppliche al papa Clemente XIV sortirono l’effetto di un progetto urbanistico, affidato all’architetto Virginio Bracci, il figlio dello scultore Pietro che nella capitale realizzò la grande statua di Fontana di Trevi. In soli sei anni si passò dal disegno alla città, sul prato del mercato davanti al Convento dei Frati Minori Osservanti. E il nuovo insediamento nel 1779 prese il nome del pontefice che l’aveva voluto: Castel Clementino. Tornò a essere Servigliano solo dopo l’Unità d’Italia.
 
L’impianto razionale
Entrando da Porta Clementina, abbiamo l’impressione di trovarci in una città modello, tanto razionale è l’impianto per ascisse e ordinate. Per una volta un borgo antico, uno dei più belli d’Italia, non è puzzle di vicoli storti. Ogni via s’incrocia ad angolo retto, da una porta all’altra, a scandire gli isolati che si allineano, sorvegliati tutt’attorno dalle case incastonate nella cinta quadrangolare. Una scacchiera dove non riuscirete a perdervi, a partire dalla Collegiata di San Marco che domina piazza Roma. Ne uscirete a malincuore, ma fuori è di rigore il pellegrinaggio laico al Campo della Pace, sui resti - baracche e filo spinato - del campo di concentramento di due guerre mondiali, oggi luogo di svago.


 
Qui s’impara la storia
Una visita guidata alla Casa della Memoria è esperienza emozionante e formativa: a sfogliare i diari dei tanti prigionieri deportati a Servigliano s’impara la storia. È un onore, lasciare la firma digitale sul registro delle presenze.
Info www.lacasadellamemoria.com
 
Dall’alto dell’altana di Palazzo Filoni
Il settecentesco palazzo Filoni Vecchiotti, entro la cinta muraria, è l’edificio più alto, grazie all’altana che svetta alla sommità del tetto. Al centro della facciata, scandita su tre piani dalle finestre sovrastate da timpani e lunette, il portale ad arco a tutto sesto è fiancheggiato da colonne. Salendo per lo scalone decorato di stucchi si raggiungono le sale del piano nobile, decorate con riproduzioni di paesaggi, figure mitiche e soggetti floreali. Saccheggiato e incendiato nel 1799, è tutelato dai vincoli della Soprintendenza.
 
A Santa Maria del Piano c’è il coro in legno d’olmo
Fuori del perimetro urbano, a fronteggiare il prato in cui anticamente, a marzo, agosto e settembre, si tenevano le fiere del bestiame e dei prodotti agricoli, sorge Santa Maria del Piano, una chiesetta del Cinquecento. Ceduta con bolla papale ai Padri Minori Osservanti di San Francesco della Comunità di Servigliano nel 1578, fu a loro cura ampliata fino ad assumere la forma attuale, tra il 1746 e il 1750, anno in cui fu realizzato il bellissimo coro in legno di olmo. Vi si conservano una statua dell’Assunta del ‘400 e un Crocefisso del ‘500.
 
La Casa della memoria
Nella stazione ferroviaria in disuso, è collocata la Casa della Memoria. L’edificio, splendidamente recuperato dall’architetto Marco Scrivani, è museo multimediale che racconta, i cinquant’anni del Campo di concentramento. Spazio di sobria eleganza, tappezzato di foto, e sala conferenze.
 
Il luogo della prigionia è il simbolo della Pace
Il Campo di concentramento di Servigliano, raggiungibile con la ferrovia, fu aperto nel 1815, per ospitare i prigionieri della Grande Guerra, e poi della Seconda. Dopo l’armistizio del ‘43, i fuggiaschi furono ospitati dalle popolazioni contadine dei dintorni. Molti di loro, da ogni parte del mondo, tornano a trovare i loro benefattori di allora. Si calcola che vi siano state rinchiuse ottantamila persone, tra prigionieri e profughi istriani. Chiuso nel ‘55, oggi è Campo della Pace.
Tel. 0734/750583 (Comune) oppure 333 2163287 (Giuseppe Millozzi, giuseppe.millozzi@gmail.com)
© RIPRODUZIONE RISERVATA