Lo studio su Jama che fa discutere:
«Non esistono prodotti miracolosi»

Lo studio su Jama che fa discutere: «Non esistono prodotti miracolosi»
di Agnese Testadiferro
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Martedì 9 Gennaio 2018, 15:07
Calcio e vitamina D non riducono il rischio di fratture. In tempi di fake news e studi scientifici che si contraddicono l’un l’altro, arriva quasi in sordina, durante le feste natalizie, una nuova metanalisi su Jama che può essere presa a caso di scuola proprio per capire come interpretare i dati delle ricerche. «Come sempre non bisogna fermarsi al titolo», sottolinea Andrea Giustina, presidente eletto della Società europea di endocrinologia e Full Endocrinology Professor dell’Istituto San Raffaele di Milano, spiegando che «vanno analizzati bene i dati per non rischiare di diffondere messaggi sbagliati».

Le vitamine non risolvono
A passare in rassegna gli studi su questo argomento, è stato un gruppo di ricercatori guidati da Jia-Guo Zhao, del Dipartimento di chirurgia ortopedica all’ospedale cinese di Tientsin. L’equipe è arrivata alla conclusione che «gli anziani che assumono calcio e vitamina D hanno la stessa probabilità di subire fratture di quelli che non seguono alcun trattamento», dopo aver esaminato 33 studi che hanno preso in considerazione oltre 51 mila persone con più di 50 anni. «Innanzitutto alcune ricerche incluse nello studio - chiarisce Giustina - non sono di qualità e quindi alterano i risultati complessivi, oltre a differenze enormi tra dosi, tipo e frequenza di vitamina D utilizzata. Inoltre, in molti casi non è indicato che si tratti proprio di colecalciferolo, il composto ideale per le finalità di protezione dello scheletro. E infine è poco consistente l’uso del calcio in associazione alla vitamina D nei vari studi».

Attenti ai dosaggi elevati
Dal momento che la vitamina D serve ad assorbire e ad utilizzare il calcio per mantenere le ossa in salute, succede che molti anziani siano sottoposti di defalult a questa terapia, con dosaggi da 600 Ui (Unità internazionali) prima dei 70 anni e di 800 Ui dopo. Mentre dosaggi superiori a 1.000 unità potrebbero presentare il rischio di effetti collaterali anche seri, specialmente nella popolazione più anziana e fragile se ha non carenza di vitamina D. «Se le conclusioni della metanalisi non sono precise, possiamo invece fare tesoro del messaggio di fondo: la supplementazione dell’ormone vitamina D va prescritta quando nell’organismo ve ne sia una carenza effettiva e non come trattamento universale al di sopra di una certa età - sintetizza l’esperto - quindi per stabilire che ve ne sia una necessità è prima opportuno dosarla prima del trattamento. Un trattamento prevede quindi una diagnosi corretta, non sulla base della convinzione che a quell’età tutti siano carenti, e la verifica dei valori raggiunti durante la somministrazione anche per personalizzare i dosaggi. Donne in menopausa e anziani con una diagnosi di osteoporosi dovrebbero ricevere un trattamento adeguato a base di farmaci come i bifosfonati e non solo la supplementazione di vitamina D».

La vitamina D solo a chi ne ha bisogno
La carenza di vitamina D, dunque, va trattata in chi ne ha bisogno. Per la popolazione generale «è necessario promuovere anche campagne di salute e prevenzione che si basino su una corretta alimentazione, una attività fisica regolare che permetta lo sviluppo di muscoli che a loro volta funzionano da stimolo per il rinnovamento dell’osso e soprattutto una quota di tempo all’aria aperta, con il 20% del corpo esposto alla luce del sole, possibilmente anche in inverno nelle ore più calde della giornata», raccomanda Giustina.
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