Michela, personal trainer: «Il male si
può battere, sono una sopravvissuta»

Michela, personal trainer: «Il male si può battere, sono una sopravvissuta»
di Alessandra Cicalini
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Martedì 31 Ottobre 2017, 12:00
 Michela, 32 anni, abita a San Benedetto del Tronto e nella vita fa la personal trainer. Dodici anni fa le diagnosticano l’esatta natura di quella pallina che aveva sotto il braccio destro. Nel giro di sei mesi riesce a sconfiggere il male, un sarcoma, uno dei “mille cancri” di cui ha imparato a riconoscere i nomi frequentando il sito dell’Associazione italiana per la ricerca sul cancro, già mentre si stava curando. Proprio a loro, a distanza di tempo, la giovane donna marchigiana ha voluto raccontare la sua storia, diventandone una testimonial.

Come mai questa scelta?
«Volevo aiutare gli altri a capire che il cancro si cura, ossia lanciare un messaggio di speranza, così ho mandato una mail all’Airc e loro mi hanno subito risposto e trattato come in famiglia. Mi spiace solo di non essere ancora riuscita a portare con me i miei figli tutte le volte che sono tornata su per i miei controlli».

Quindi è mamma?
«Sì, di due bambini di tre e quattro anni e mezzo. E dire che mentre mi curavo mi avevano detto che correvo il rischio di restare sterile»,

La prospettiva la turbava?
«Moltissimo, perché il mio sogno più grande era avere una famiglia e diventare madre... e se fosse per me, ne vorrei anche un altro, così sto pressando mio marito»,

Ha condiviso anche con lui la sua esperienza?
«Sì, ma tutte e due venivamo da traumi che, seppur diversi, ci hanno unito ancora di più».

Era davvero giovane quando le è successo: i suoi genitori le sono stati accanto?
«Sì, ma devo dire che forse ho fatto più forza io a loro che non il contrario».

Perché?
«Ora da mamma posso capire che cosa vuol dire avere un figlio che sta male e capisco di più la loro sofferenza. Allora, invece, forse proprio per l’incoscienza della mia età, ho continuato a studiare e a ballare con le amiche».

Mai un momento di cedimento?
«Sì, certo. Soprattutto mi è successo quando qualcuno mi faceva notare quanto fossi forte. Ma io non sono Wonder Woman. Semplicemente, quando ti capita una cosa così, l’unica scelta che hai è combattere».

Dove si è curata?
«Ho fatto il primo intervento ad Ancona, ma da lì mi hanno mandato direttamente a Milano all’Istituto nazionale dei tumori dove ho trovato medici molto competenti. Ma già il medico di base e poi il tecnico ecografista qui a San Benedetto mi hanno saputo indirizzare bene».

Lei è credente?
«Sì, e sono convinta che lassù qualcuno mi abbia ascoltata. Però contemporaneamente credo nella scienza e che ci si debba affidare alle persone giuste, che studiano per cercare terapie specifiche, com’è successo a me, non alzare le mani e aspettare che tutto venga dall’alto».
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