Il vi’ de visciola della Vallesina
e l’eterno derby con il visner

Il vi’ de visciola della Vallesina e l’eterno derby con il visner
di Agnese Testadiferro
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Sabato 14 Ottobre 2017, 12:12 - Ultimo aggiornamento: 12:13
Un lusso poterlo bere alla luce del sole. Il vino di visciole, dolce bevanda proibita per decenni, è protagonista del weekend a San Paolo di Jesi. Fino a domani il paese della Vallesina è la capitale di una delle manifestazioni italiane considerate un unicum nel suo genere: la Festa del vi’ de visciola, VIII edizione. Il prodotto tipico della tradizione marchigiana, dalla produzione limitata, è di anno in anno sempre più ricercato e apprezzato, e i produttori sanno come rendere le loro bevande sempre più riconoscibili.

Il territorio fa la differenza
Nelle Marche sono due le zone vocate alla produzione del vino di visciole, nell’alto pesarese e nell’entroterra anconetano: diverso, come differente è il territorio, è il risultato e la denominazione. «Nel 2011 abbiamo ottenuto un riconoscimento ad hoc per la provincia di Ancona. Eravamo fermamente convinti di avere un prodotto, nella Vallesina, idoneo ad esser classificato come tipico della tradizione marchigiana - spiega Angelo Zannotti, agronomo ed ex assessore all’Agricoltura di San Paolo che si attivò per ottenere il riconoscimento - Nel nostro territorio siamo tutti cresciuti con il vino di visciole, e i contadini, specialmente i più anziani, sono la memoria di questa usanza. Con il decreto regionale 250/CSI del 24/03/2011 si è quindi sancito che i Comuni anconetani che ruotano intorno il fiume Esino possono immettere nel mercato l’originale vino di visciole, detto anche vì de visciola». Essi sono, nello specifico: San Paolo di Jesi, Cupramontana, Staffolo, Maiolati Spontini, Montecarotto, Castelbellino, Monte Roberto, Castelplanio, Poggio San Marcello, Rosora, Poggio San Marcello e Jesi. I segreti svelati Quando si parla di questo vino va però specificato che si tratta di vino aromatizzato con visciole, in quanto la ricetta prevede l’unione del frutto al mosto di uva a bacca rossa come ad esempio Montepulciano o Sangiovese, o a bacca bianca come il Verdicchio. Le visciole, che sono delle ciliegie selvatiche, vanno raccolte ben mature verso giugno e lasciate macerare con lo zucchero per tutta l’estate per poi essere aggiunte al mosto; raggiunta la giusta fermentazione del prodotto attendere circa tre mesi per l’affinamento. «Questa bevanda è una produzione artigianale delle campagne della Vallesina che si distingue dalla produzione del Pesarese (in provincia di Pesaro la bevanda si chiama visner, nella preparazione si utilizza il vino e non il mosto ndr) - spiega lo storico Riccardo Ceccarelli - I monaci erano i produttori storici per eccellenza. Se il primo documento che cita il vino di visciole risale al 1808, la prima etichetta è degli anni Venti del Novecento». Etichetta che va considerata strettamente privata in quanto apparteneva a Tullio Uncini. «Lui era un tipografo e aveva fatto la targhetta, conservata al Museo dell’etichetta di Cupramontana, per la sua produzione privata».

Il lusso legalizzato
Il dettaglio da non trascurare è che solo dal 1993 è stata legalizzata la produzione del vino di visciole. «Prima di quella data era abusivo in quanto veniva considerato una adulterazione del vino e quindi i fiaschetti venivano spesso nascosti sotto le balle di fieno e consumati principalmente durante le feste in famiglia», sottolinea Zannotti. Il vino di visciole, «che al naso ricorda il ciambellone della nonna, è ideale abbinamento per la pasticceria secca e un momento di meditazione», suggerisce Serenella Randelli, sommelier e referente Marche de Le donne del vino. Per chi vuole osare, da provare con pecorino stagionato o in cottura con arrosti importanti. Era, ed è, il periodo di Natale il momento giusto per godersi il primo sorso del vì de visciola dell’annata.
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