Dalla piadina al crostolo e alla crescia
Semplici e squisite, farcite è meglio

Dalla piadina al crostolo e alla crescia Semplici e squisite, farcite è meglio
di Elisabetta Marsigli
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Sabato 25 Novembre 2017, 14:14
Piadina o crostolo? Costa o entroterra? Impasto più leggero o corposo? Non semplice rispondere a queste domande: pur simili nella forma, la piadina e il crostolo sono in realtà differenti nella composizione e negli ingredienti e, ovviamente, nel sapore. L’unica risposta sarebbe quella di scegliere in base all’appetito o a seconda del luogo dove ci troviamo, sulla costa o nell’entroterra della riviera marchigiano-romagnola.
 
Le origini
Ciò che accomuna questi deliziosi sostituti del pane è la rapidità e la semplicità della preparazione, visto che è possibile cuocerli su una apposita teglia larga e bassa direttamente su fornello senza bisogno di accendere il forno, oltre a non essere necessario l’utilizzo del lievito madre. Una comodità non da poco se pensiamo che fino a diversi anni fa il pane si preparava una volta alla settimana e si cuoceva nei forni pubblici o in paese. Il primo documento storico conosciuto che parla della piada, risale al 1371, alla descrizione della Romagna compilata dal Cardinale Angelico, ma fu Giovanni Pascoli a dare dignità culturale alla piada, un cibo povero diffuso tra i ceti meno abbienti. È curioso scoprire come ci siano testimonianze relative al fatto che gli abitanti delle palafitte lombarde, del 1200 avanti Cristo, usassero mangiare pagnotte impastate con farine varie e focacce azzime (senza lievito), cotte su lastre arroventate, anche se c’è da dubitare sulla loro digeribilità. Esistono svariate “sorelle” della piada sparse in tutto il mondo: la prima, e forse più famosa, è la tortillas spagnola e/o messicana, nella sua accezione di focaccia di mais o farina e non in quella di frittatina di patate; oppure la “pita”, che va dalla Grecia all’India, che spesso viene chiamata anche pane arabo, siriano o libanese, e che grazie alla sua forma e morbidezza è utilizzato per raccogliere sughi o salse, e il cui nome ricorda molto il nostro. Ma ovunque troviamo tante altre preparazioni a base di cereali locali e acqua, farcite o usate come sostitutivi del pane.


 
Romagnola o marchigiana?
La contaminazione tra la costa nord marchigiana e quella a sud della Romagna, a livello gastronomico, è pressoché totale. Gli ingredienti tradizionali di base della piadina sono pochi e gli stessi di sempre: farina, acqua e un po’ di strutto, oggi a volte sostituito dall’olio di oliva e un pizzico di sale. Si impasta, si stende fino a formare un disco rotondo e si cuoce. E si sceglie con cosa riempirlo. Forse si fa prima a dire con cosa “non” si può gustare: piegata in due o arrotolata, la piadina va d’accordo con molti alimenti, dolci o salati. Stuzzicante e attraente con il prosciutto crudo o cotto, il salame e la lonza, i formaggi, le salsicce e le verdure fresche, cotte, e gratinate, ma forse in pochi conoscono la sua prelibatezza insolita con il pesce alla brace (ottima con i sardoncini arrosto) fino ad arrivare all’ultima frontiera della spalmata di Nutella. Se si sale verso il Riminese, la piadina aumenta di spessore di diversi millimetri ed è leggermente diversa anche nell’entroterra romagnolo.
 
Il crostolo
L’alter ego collinare o montanaro della piada è il crostolo, che rivendica un’originalità tutta sua, protagonista anche di una sagra a Urbania, dove ogni anno i suoi profumi si spargono per le vie del centro. Alla brezza marina sostituiamo l’aria frizzante del vicino appennino. Così le terre ducali hanno dato vita ad una preparazione ben più ricca e sostanziosa: alla base di farina e poca acqua qui vengono aggiunte le uova, il latte, abbondante strutto, sale e pepe in quantità, ma le dosi sono un segreto mantenuto gelosamente! Il sostanzioso impasto viene poi piegato a metà e, di nuovo, ci si perde tra i meandri dell’imbarazzo della scelta dei salumi nostrani, delle erbe cotte, crude, dei formaggi locali e delle immancabili salsicce. Nicoletta Tagliabracci, dell’associazione Kairòs, che si occupa di promozione territoriale ed enogastronomia, e, oltre ai vini, è un’esperta delle eccellenze delle nostre zone, sostiene che proprio la semplicità di preparazione ha reso piadina e crostolo vere tipicità senza confini tra Marche e Romagna: «Tra le cronache della mia famiglia, dove un ramo di parentela si snoda a Urbino, il crostolo si intinge nella zuppa di lenticchie o di fagioli, mentre la parte materna romagnola preferisce tuttora la versione più estiva con frittata e insalata, ma sono davvero infinite le combinazioni di gusto che si possono creare».
 


La crescia
Occorre non dimenticare la crescia, esattamente a metà tra la piadina e la pizza, le cui origini provengono dalle zone delle terre del Catria, che si distingue per la cottura sulle braci. Un’autentica delizia farcita con tutto quello che abbiamo descritto prima, e insuperabile con i “grugni”, ovvero la cicoria, ma nuovi e singolari accostamenti sono solo ancora da scoprire.
 
Dalle tavole dei contadini alle poesie di Pascoli
Come tutti i cibi della tradizione contadina, non mancano i poeti che hanno dedicato alla piada i loro versi. Giovanni Pascoli, in varie sue opere parla del “pane di Enea”, del “pane rude di Roma”, legando l’origine della “piada” alla latina “mensa”, rinvenendola nel settimo canto dell’Eneide. Pascoli, figlio dell’amministratore di Villa Torlonia a San Mauro di Romagna, si affeziona ad una ricetta che ancora era cosa rara nella Romagna di quel periodo. La piada è anarchica, apparentemente improvvisata, ma difficile da codificare. Questo “pane dei romagnoli” ha ispirato la poesia “Il desinare” e, in una nota di presentazione del poemetto “La Piada”, pubblicata su “Vita Internazionale” nel 1900, Pascoli scriveva: “Piada, pieda, pida, pié, si chiama dai romagnoli la spianata di grano o di granoturco o mista, che è il cibo della povera gente; e si intride senza lievito; e si cuoce in una teglia di argilla, che si chiama testo, sopra il focolare, che si chiama arola...”
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