Non soltanto peperoncino e cacao
Gli chef che mettono in tavola l'Eros

Non soltanto peperoncino e cacao Gli chef che mettono in tavola l'Eros
di Laura Ripani
5 Minuti di Lettura
Sabato 22 Luglio 2017, 15:35
Un’avvertenza per il lettore, questo articolo è vietato ai minori di 18 anni perché affronta un argomento tabù: l’eros. Per di più a tavola, grazie ai segreti di due grandi chef che svelano come scatenarlo. Così, con le temperature che salgono, la pelle sempre più nuda e gli ormoni che fluttuano, un semplice piatto può provocare una reazione simile, udite, udite: «a un orgasmo» o, se non altro ad evocarlo. Lo promettono due funambolici artisti della forchetta, lo stellato Giuliano Baldessari dell’Acqua Crua di Barberano Vicentino che, in qualità di giudice, ha incontrato negli studi di Top Chef il piceno Palmiro Carlini. Ne è nato un sodalizio che sicuramente ha fatto felici per prime le loro mogli e, di certo, anche tanti clienti i quali hanno avuto modo di sperimentare - diciamo così - se si trattava solo di una bella trovata di marketing o molto di più. «Quando ci siamo conosciuti - spiega Baldessari - ho subito intuito che Palmiro aveva una marcia in più: questa sua idea di applicare i principi delle neuroscienze alla gastronomia per stimolare sensazioni piacevoli va oltre il semplice “piacere” di mangiare ma ha radici più profonde che, combinate con l’arte culinaria, mantengono le aspettative».

La scienza
A dir la verità c’è qualcosa di assolutamente vero nella neurogastronomia. Lo spiega Santo Rullo, psichiatra che addirittura ha creato la nazionale italiana disabili mentali. «Non è un mistero che tramite l’alimentazione si possa influire sui neurotrasmettitori, dopamina, serotonina e così via. Lo facciamo costantemente quando, ad esempio, ci gratifichiamo con uno scacco di cioccolata se ci sentiamo giù. In questo caso abbiamo agito sulla serotonina, che provoca benessere. Al di là quindi del semplice piacere che ci possiamo concedere, c’è una verità scientifica tra desiderio e bisogno, solo che la risposta è individuale». Sgomberato dunque il campo dal fatto che non è pazzo chi parla di cibi che stimolano l’eros, l’erotismo a tavola si compone non soltanto del contenuto «ma anche della forma e dei colori» dicono gli chef. Si tratta insomma di un viaggio sensoriale che parte dall’utilizzo di cibi “vivi” vale a dire freschi, non trattati chimicamente o con aggiunte di sale, zucchero o grasso: «tutti elementi - spiega Palmiro Carlini - che non danno vere e proprie emozioni. Al contrario invece la menta, il ginkgo biloba o dell’ostrica che, ad esempio, come forma e gusto, stimola la passione, contiene naturalmente principi interessanti specialmente l’acqua di mare che con il sale alza la pressione». Insomma non c’è alcuna magia dietro la capacità di utilizzare i cibi per condire altri cibi e conferire loro oltre alla sostanza anche un retrogusto che non ci aspetta.



L’euforia
«Bisogna essere in grado di «attivare la dopamina (l’ormone della felicità ndr) - spiega Palmiro indicando i principi della sua neurogastronomia. E giù dunque una serie di consigli tramite i quali creare gioia. «L’assenzio - tra i suoi preferiti - può diventare l’elemento della cialda della crema al pistacchio. Insieme al tagliolino, il fungo e l’aglio nero è in grado di scatenare euforia». Insomma una vasodilatazione che non si ferma soltanto all’aspetto sensoriale. Serve infatti anche la presentazione adeguata perché l’occhio che vuole sempre al sua parte, in cucina ancor di più. Per appagare anche lo sguardo si può contare su un’altra creazione capace di creare l’eccitazione di tutti i sensi: il risotto al caffè di alga di mare. «Sembra caffè ma non è - si diverte Carlini -: qui però andiamo a colpire l’umami, il “quinto senso” presente nelle nostre papille gustative: oggi l’industria è capace di solleticarlo tramite alcune preparazioni chimiche, quelle che ci fanno piacere i cosiddetti “cibi spazzatura” per i quali si rischia la dipendenza se non ci si rende conto che fanno male. L’obiettivo della neurogastronomia è invece solleticarli lo stesso ma tramite ingredienti naturali che danno la stessa eccitazione ma ricorrendo a spezie e materie prime che esistono in natura anche perché il massimo del piacere sta nel percepire quanto più possibile il sapore vivo e antico». Tra i piatti tramite i quali i due chef promettono davvero di creare una chimica esplosiva c’è il piccione romano al rabarbaro, spolverato di stoccafisso. Innanzitutto stiamo parlando di un volatile speciale, non del semplice piccione che disturba i nostri aperitivi all’aperto ma un tipo particolare.



«È una nostra esclusiva - incalza Baldessari - , lo facciamo soltanto nel nostro ristorante anche perché lo allevo personalmente e ne ho selezionato la razza: è il re dei piccioni. Ha una carne molto rossa, ricca di ferro. Allo stesso tempo ha un sapore molto intenso di “carne” e il pizzicorino è garantito dal rabarbaro. Se poi ci aggiungiamo una spolverata di stoccafisso, anche questo dall’odore inconfondibile e lo serviamo diviso in due, con la crema all’interno, ecco che abbiamo ricreato l’illusione di una vagina femminile. Insomma, stuzzichiamo quell’“uomo delle caverne” che è in ognuno di noi. Ovviamente come gioco».

L’illusione
L’illusione, già. La neurogastronomia se è vero che è basata su solide basi fisiologiche si completa di illusione ottica. Ad esempio, si può usare una banana con lo yogurt fatto in casa e il biancospino (altro vasodilatatore) per simulare l’acme del piacere maschile. Lo avevamo detto in premessa che sarebbe stato un articolo ad alto tasso erotico. Ora non resta che provare almeno una delle ricette di Giuliano e Palmiro. E poi magari raccontare l’effetto che fa.



La ricetta
Piccione romano al rabarbaro e stoccafisso
Ingredienti per 4 persone - Un piccione, 500 g rabarbaro fresco, 30 g burro, sale, 100 g di purea, olio evo, sale, salsa di soia, 40 g polvere lievito di birra, 10 g chat masala.
Preparazione: pulire il rabarbaro, lavarlo e tagliarlo a pezzi di circa 10 cm. Cuocerlo a fuoco lento in una
padella con il burro, senza far imbrunire. Passare poi in forno a 140° C fino a cottura del rabarbaro. Raffreddare e frullare fino. Spennare il piccione, sviscerarlo, ripulirlo e mettere a cuocere i durelli in un pentolino per 4-5 ore. Togliere le cosce, condirle e metterle a cuocere sotto vuoto a 68° per 10 ore circa. Scottare il petto in pentola sulla carcassa e cuocerlo in forno misto con il 20% di umidità a 140° per 7 minuti. Far riposare. Successivamente smontare i petti, inciderli per il lungo e farcire la fessura con la crema al
rabarbaro. Servirli con la coscia, il filetto e il durello caldi. Finire con una grattugiata di stoccafisso e decorare con chat masala.
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