Il "quinto quarto" che affascina:
non chiamateli mai più "scarti"

Il "quinto quarto" che affascina: non chiamateli mai più "scarti"
di Nico Coppari
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Sabato 10 Marzo 2018, 13:05
In tutto l’infinito mondo della cucina a base di carne, è forse la dimensione che, più di ogni altra, affonda le sue radici nella storia e nei ricettari delle nostre nonne. Certamente è quella più suggestiva e meno conosciuta. Stiamo parlando del “quinto quarto”. Già nel nome, così poco diffuso tra i non addetti ai lavori, troviamo il fascino di preparazioni tanto popolari quanto, al contempo, non alla portata di tutti e che richiedono accorgimenti e una notevole dose di maestria. “Quinto quarto” sta per tutte quelle componenti dell’animale che rimangono escluse dalla macellazione classica che suddivide il capo in quattro quarti. La quinta parte, appunto, sono le interiora, o frattaglie, e tutte quelle parti meno nobili, come la testa, la coda e le zampe, il polmone, il cuore, il fegato. Sia dei bovini, che degli ovini e dei suini. Rientrano nel termine anche le rigaglie dei volatili selvatici e da cortile.



Piatti poveri, oggi ricercati
Tutte le componenti del quinto quarto sono ingredienti poveri ma gustosi e genuini, materia prima per piatti eccellenti. E che in pochi sanno ancora preparare e cucinare a regola d’arte. Gianni Cammertoni, medico veterinario dello stabilimento di macellazione di Macerata, grande appassionato in materia e accademico della Cucina Italiana, spiega il mondo del “quinto quarto”. «Le rigaglie - dice Cammertoni - sono le interiora di pollo, di piccione o di altro volatile: fegatino, cuore, cresta, bargigli, uova non nate e stomaco. Nei secoli passati le rigaglie erano destinate ai servitori, mentre oggi è un cibo ricercato che si può trovare nelle trattorie e nei ristoranti di tradizione, cucinato semplicemente alla salvia, al vino bianco o arricchito in fricassea con l’aggiunta del rosso d’uovo sbattuto col limone». «Le animelle di vitello, la famosa “pajata”, è la parte tenera di intestino del vitello da latte. Insieme alla rigaglie di pollo - continua Cammertoni - le animelle sono gli ingredienti principali dei vincisgrassi maceratesi. La coratella d’agnello è un regina della tavola. La “coppa di testa” è il salume realizzato con le parti di recupero della testa del maiale. E poi la trippa, che deve essere consumata freschissima, richiede lente cotture di tre o quattro ore in tegame, ma può costituire un sontuoso secondo o un succulento condimento per paste o gnocchi. Addirittura si può mangiare il cuore, che ha un gusto dolciastro e si presta ad essere cucinato con cipolle e patate. Del vitello si impiega anche la lingua, particolarmente morbida e consigliata salmistrata. Il fegato ha consistenza tenera e pertanto necessita di una cottura breve, magari in padella, che non ne alteri la compattezza. Il rognone di vitello prima di essere cotto va spurgato in acqua e aceto».



La chiave è il cervello
«Il cervello - sottolinea Cammertoni - particolarmente delicato, è la chiave di ottime preparazioni. Fra le preparazioni più tradizionali a base di frattaglie del maiale c’è il sangue. Nelle campagne era costume comune raccogliere il sangue fresco nel momento della iugulazione, lo si metteva a coagulare, poi cotto in acqua bollente e infine insaporito con una ripassata in padella con soffritto. Il sanguinaccio è un insaccato che nell’impasto contiene anche sangue di maiale e che in genere si consuma fresco». Tra i ristoranti in grado di lavorare e cucinare il quinto quarto da segnalare “La rocca verde”, a Candia ad Ancona, il “Cosmopolitan” a Civitanova Marche, “Al crepuscolo” a Montefiore di Recanati, “Ferranti” a Caccamo di Serrapetrona, “Le case”, in contrada Mozzavinci a Macerata.

Un cibo da re
L’abitudine di cibarsi di frattaglie risale addirittura alla preistoria con la passione che gli Etruschi avevano per il fegato e le frattaglie. Più recentemente, un vecchio racconto irlandese narra l’amore di un re per «grasso, rognoni e tenera trippa», rivelando che il tributo da offrire a una dama di corte consisteva in animelle e cuori di maiale. Nella Parigi del ‘600, poi, le interiora erano molto più apprezzate delle bistecche, e anche più costose. I francesi le chiamavano “parties nobles” e ogni cacciatore aveva con se un set cerimoniale di coltelli per rimuoverle e metterle alla griglia con un piccolo rituale, per poi offrirle al potente di turno in onore del suo coraggio. Anche gli scozzesi venerano le frattaglie e un loro piatto nazionale, chiamato “haggis” fatto d’interiora di pecora avvolte nel suo stomaco, viene mangiato durante una fastosa cerimonia accompagnata da cornamuse. La festività turca del Giorno del Sacrificio (Kurban Bayrami) culmina con la distribuzione di un piatto stufato di trippa chiamato “iskembe carbosi”. Addirittura gli abitanti dell’isola di Tonga ritenevano che il fegato fosse il boccone più prelibato di un pranzo, perché era lì che risiedeva il coraggio di un’animale.


 
Trippa alla canapina versione marchigiana
Ingredienti x 4 persone: 800 gr di trippa 1 osso di prosciutto 50 gr di cotica di maiale 100 gr di lardo 1 cipolla 1 spicchio d’aglio 1 costa sedano 1 carota 1 ciuffo di prezzemolo 1 rametto di maggiorana 4 cucchiai di concentrato di pomodoro 1 limone parmigiano grattugiato olio evo sale
Preparazione: sbollentare la trippa dopo averla pulita e lavata. Rosolare cipolla, aglio, sedano, prezzemolo, carota e scorza di limone insieme al lardo e poco olio. Aromatizzate con maggiorana e unite la trippa tagliata a listarelle, la cotica scottata in acqua bollente e l’osso del prosciutto. Aggiungere il concentrato di pomodoro, salare e fare cuocere lentamente per almeno 2 ore mescolando spesso. A cottura ultimata levate l’osso di prosciutto e servire calda con abbondante parmigiano grattugiato. Contrariamente a quanto si crede, la trippa è un alimento digeribile e a basso contenuto calorico: 100gr contengono solo 100 calorie. Basta non esagerare con il condimento. La ricetta della trippa alla canapina è nata a Jesi, città in cui nei tempi trascorsi era fiorente la lavorazione della canapa.
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