​Il diario di Magda Minciotti da Chiaravalle
la Anna Frank che riuscì a salvarsi

Magda Minciotti
Magda Minciotti
di Elisabetta Marsigli
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Domenica 29 Ottobre 2017, 16:11
Il diario che Magda Minciotti scrisse durante il periodo della sua prigionia in mano ai soldati nazisti che la deportarono per lavoro coatto nei lager Siemens a Norimberga e Bayreuth, è un documento unico e straordinario. Magda lo conservò in silenzio per lunghissimi anni e lo consegnò al figlio Giorgio solo poco prima della sua morte. Con il volume “Considerate che avevo quindici anni” (Affinità Elettive e Istituto Storia delle Marche), a distanza di settanta anni, il grande lavoro di ricerca di Anna Paola Moretti, co-fondatrice nel 1985 dell’associazione “Casa delle donne di Pesaro”, restituisce la storia di Magda e contemporaneamente la storia della massiccia deportazione per lavoro coatto praticata dai nazisti in tutta Europa, a cui, finora, si era prestata poca attenzione, diversamente dalla deportazione razziale e politica. 

Le testimonianze
Esistono scritture che riportano testimonianze di quelle deportazioni di lavoro coatto, ma la testimonianza di un diario è decisamente diversa da uno scritto postumo e retrospettivo perché mantiene tutta la spontaneità di un rapporto clandestino, vissuto intensamente giorno per giorno in quei momenti rubati alla prigionia. Magda Minciotti, appena quattordicenne e già partigiana, fu arrestata per rappresaglia l’8 luglio 1944 a Monte San Vito, dove era sfollata con la famiglia: le SS cercavano il fratello Giacinto, comandante partigiano a Chiaravalle. Insieme a lei trattennero anche un altro fratello, Giorgio che morirà durante la prigionia. Magda iniziò a scrivere quindici giorni dopo il suo arresto, quasi ogni giorno, nei ritagli di tempo, nelle brevi pause dal lavoro e, soprattutto, la domenica, esorcizzando la sua prigionia. Durante il trasferimento in Germania, in una delle tappe, aveva trovato alcuni blocchetti di ricevute scaduti, delle dimensioni di 8cm per 12, Quei piccoli notes diventano preziosi per Magda che inizia così a riempirli con una calligrafia ristretta, per sfruttare ogni spazio bianco, nella speranza di farli durare il più possibile. La prima annotazione riporta la data del 23 luglio 1944 a Ripe, in provincia di Ancona, l’ultima è del 3 aprile 1945 a Bayreuth in Baviera.

Il ritorno a casa
Al suo ritorno a casa, a Chiaravalle, nell’agosto 1945, Magda ricopia il diario su un quaderno a quadretti nero con i bordi rossi: l’autrice del libro sottolinea come nemmeno in questa seconda stesura compaiano cancellazioni e/o correzioni. Magda dà un titolo al suo diario “Le mie prigioni” e scrive una premessa: «A distanza di un anno, rileggendo il mio diario, pensai di ricopiarlo, non volendo un giorno pentirmi (chissà quando) di averlo lasciato andare in malora. L’originale del mio giornale, scritto sempre in fretta, con un mozzicone di matita, con cinque minuti di tempo alla volta, con il passare dei giorni diventa illeggibile. Le peripezie poi che dovetti sopportare, finirono per renderlo stracciato e sporco. Non vi nascondo che porta perfino il ricordo dell’olio della mia macchina a cui dedicai sette mesi della mia giovinezza». Non si sa se Magda mostrò mai il diario ai suoi genitori, ma lo conserva lontano da sguardi indiscreti per consegnarlo a suo figlio Giorgio, solo pochi mesi prima della sua morte, nel 1990.
È sorprendente la sua ironia, la sua rabbia, i sentimenti contrastanti e le riflessioni che Magda alterna a ciò che le accade in quei nove mesi: il ritratto di una donna straordinaria, attenta a conservare la propria identità, a mantenere la sua autenticità e valore di sé. «Sa guardarsi con distacco; – commenta nella prefazione la Moretti – è capace di derisione, ironia e autoironia, che le servono anche per sdrammatizzare, a rendere più sopportabili gli eventi». 

Un romanzo di formazione
Un diario che è quasi un romanzo di formazione, dove il racconto di quella prigionia si trasforma in un’esperienza di vita di un’adolescente non così tanto distante dal nostro tempo. «La vita delle donne è stata a lungo espulsa dalla storiografia e relegata nel privato; le parole delle donne, quando espresse, sono rimaste ai margini. – scrive ancora la Moretti – Credo invece che la storia si mostri anche dalla loro (nostra) vita. La traccia consapevole di sé che qualcuna ci ha lasciato è preziosa per aprire orizzonti, soprattutto se manteniamo un rapporto di circolarità tra memoria e ciò che è considerato storia».
 
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