"Accanto a mio figlio gay
Ecco la gioia di rinascere"

Maria Cristina Mochi
Maria Cristina Mochi
di Barbara Ulisse
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Domenica 2 Luglio 2017, 16:30 - Ultimo aggiornamento: 16:31
La parola che usa più spesso è “resistenza”, la seconda è “famiglia”. Alla prima l’espressione si fa sempre seria, e tu pensi “beh, certo, in trincea non c’è tanto da ridere”. Alla seconda spunta sempre un sorriso, perché “è nella famiglia che nasce la forza e se un ragazzo che decide quel passo ce l’ha a fianco….”. Maria Cristina Mochi è la responsabile regionale di Agedo, l’associazione nata nel ’92 in Italia e attiva dal 2005 nelle Marche –prima come un semplice punto di ascolto e ora come vera e propria sede regionale- con lo scopo di dare ascolto e supporto alle famiglie con figli gay. Quel passo è il momento in cui ragazzi e ragazze scelgono di dire ai genitori di essere omosessuali. Da quando suo figlio lo ha compiuto, lei ha fatto di una difesa privata una tenacissima battaglia pubblica. La battaglia di chi combatte tutte le discriminazioni, a qualsiasi latitudine, a tutto campo.

L’associazione e il ruolo sociale
Per questo quando le chiedo di iniziare da capo, non inizia dal coming out del suo ragazzo, ma dal ruolo sociale e culturale dell’associazione: «Agedo è nata dalla volontà di una donna coraggiosa, Paola Dall’Orto in anni in cui per i ragazzi omosessuali e per i loro genitori c’era solo derisione, e solitudine. Oggi Agedo è in rete con tutte le associazioni che fanno resistenza che portano avanti le battaglie sui diritti e credono che non esista un essere umano più “giusto” di un altro». L’associazione entra in contatto con le famiglie dopo la “rivelazione” del figlio, nel momento di massimo sbandamento, e di incredulità. È capitato anche a te? «Certo! Mi ricordo perfettamente il momento in cui mio figlio – aveva 19 anni - si appoggia alla finestra e mi dice «mamma, sono bisex… anzi no... sono proprio gay. E io: andiamo dallo psicologo, verifichiamo….. E lui: non dire cavolate…».
«Non mi ero accorta della sua omosessualità forse perché l’avevo visto sempre sereno, e perché comunque era il figlio che volevo». A Maria Cristina sono bastati pochi giorni per riprendersi dallo stupore, elaborare il senso di colpa – «suo padre se ne è andato che aveva pochi anni, credevo che potesse aver inciso l’essere una madre sola» – e documentarsi. È stata pronta da subito a inforcare – come lei dice – i nuovi occhiali.

Il mondo con occhiali diversi
«I genitori di figli gay sono due volte genitori: ti obbligano a vedere il mondo con lenti diverse, ma loro sono gli stessi figli di prima». Per questo parla di rinascita, e di quell’enorme arricchimento che viene in dote da un’esperienza così forte, a chi decide di farla insieme al figlio.
Le lenti sono, naturalmente, quelle che ti fanno compiere una rivoluzione copernicana sulla concezione di normalità. «Sì, viviamo in un mondo eteronormativo. La diversità è dura da accettare. Anni fa i genitori mandavano i figli fuori. Quando sapevano, non volevano vedere. Nonostante la situazione oggi sia molto migliorata grazie alla legge sulle unioni civili che hanno reso visibile il popolo Lgbt e le loro famiglie, rimangono molti pregiudizi e molti stereotipi».

Chi rinasce subito e chi no
Ci sono genitori pronti a «rinascere» subito con il proprio ragazzo/a. Lei accoglie tutti, e sostiene, consiglia uno sguardo laico e rispettoso, e comprende. Le famiglie hanno bisogno di confronto, e di quello speciale conforto che sa dare solo chi ha metabolizzato la stessa esperienza. «Ci chiamano quando vengono a sapere e vogliono sapere che non sono soli».

I cattolici che si stanno aprendo
Cinquanta iscritti nelle Marche, molti genitori cattolici che si stanno aprendo, moltissimi che chiamano senza iscriversi. Sono soprattutto mamme, quelle che chiamano? «Senza dubbio. Sono più pronte a combattere per i diritti, oltre che per i figli, e a metterci la faccia» . Lei, pronta a resistere, lo è di sicuro. E a difendere, quando si manifestano pregiudizi che ledono uguaglianze e libertà. Come ad Ascoli, dove una preside aveva negato a due ragazze un’ora di autogestione sui questi temi e la Mochi è intervenuta per cercare di ristabilire un dialogo laico. È nelle scuole, dice, che trova la maggiore resistenza al cambiamento . «C’è molto lavoro da fare con insegnanti ed educatori, ma anche con alcuni genitori». Per il resto, le Marche hanno una sensibilità sul tema di diritti e cultura delle differenze «a macchia di leopardo». Cosa commuove questa mamma resistente? «Ci scrivono i figli gay, grati del fatto che i genitori hanno capito e si sono schierati dalla loro parte». Cosa la colpisce? «Ricevere in un mese cinque telefonate di ragazzini bullizzati per una presunta effeminatezza, in una città come Fano, dove c’è una tessitura salda sul tema dei diritti». A un genitore che viene a sapere cosa dice solitamente? «Vuoi che tuo figlio sia felice?» E chi non ce la fa a “rinascere”? «L’alternativa spesso è perdere il proprio ragazzo o vivere una vita finta».
 
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