La vita avventurosa di Donna Elisabetta
da Varano tra fratricidi e ritorni

Porta Malatesta a Camerino
Porta Malatesta a Camerino
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Domenica 13 Agosto 2017, 17:44
Ci sono voluti ben due romanzi storici e un lavoro di diversi anni per restituire alla comunità marchigiana la figura di Elisabetta Malatesta Varano (1407-1477), una delle donne più interessanti del Quattrocento italiano. È questo il merito di Clara Schiavoni che, prima con “Sono tornata” (Edizioni Simple, 2013) e poi con “Saprò ricominciare” (Affinità Elettive, 2017), ha tratteggiato la personalità e la vicenda di una donna il cui ricordo era finora relegato soltanto ad un breve saggio storico del 1911 di Bernardino Feliciangeli (1862-1921).

Letterata umanista
Figlia di Galeazzo Malatesta, signore di Pesaro, e di Battista Montefeltro, letterata umanista, Elisabetta Malatesta sposa Piergentile da Varano, della signoria di Camerino, e finisce per essere una protagonista della vita politica delle Marche del Quattrocento. Le tocca, infatti, affrontare una delle fasi più turbolente della vita regionale, quella che vede imperversare tra la Marca e l’Umbria gli opposti partiti dei bracceschi e degli sforzeschi, e la Chiesa essere in balia degli Stati italiani, in un rivolgimento che trova quiete soltanto quando con la caduta di Costantinopoli (1453) si arriva a siglare la pace di Lodi (1454), che per un quarantennio dà un po’ di tregua alla nostra penisola.

La vita stravolta
Dentro questo scenario complesso, Elisabetta ha la vita stravolta da una delle vicende più efferate che contraddistinguono un secolo sanguinario e stupefacente: il fratricidio di casa Varano (1433), indotto da Giovanni Vitelleschi, inviato nella Marca da papa Eugenio IV, che la costringe ad una prima fuga a Visso. Dopo appena un anno avviene la seconda fuga, a seguito della rivolta e dell’eccidio di ciò che resta della famiglia varanesca a Camerino, dove negli anni da 1434 al 1443 s’instaura un breve e turbolento governo dell’oligarchia mercantile.

Un anno dopo la fuga
Dall’eccidio si salvano ancora una volta in maniera rocambolesca Elisabetta con i suoi pargoli, Costanza e Rodolfo, avuti dal defunto Piergentile, e Giulio Cesare, figlio invece di Giovanni e Bartolomea Smeducci; proprio i due cugini maschi, figli dei due fratelli uccisi, che Elisabetta riporta al governo della città di Camerino non appena gli eventi mutano e la tela diplomatica e politica da lei sapientemente tessuta con i maggiori personaggi dell’epoca, da Francesco Sforza a Federico da Montefeltro, produce gli auspicati frutti. La personalità di Elisabetta Malatesta Varano emerge da queste vicende via via più nitida e ricca, seguendo una scansione dialettica in cui la protagonista passa dall’ingenuità del primo amore, alla vastità del dolore, fino alla riconquista del potere, e da qui alla gloria che nasce dal riconoscimento degli altri e dalla considerazione del popolo, fino alle lacrime indotte dalla perdita delle persone più care e all’abbraccio della visione spirituale. 

I titoli scelti
Di grande forza sono i titoli scelti per i due romanzi. Essi hanno intercettato e sintetizzato, senza che l’autrice potesse prevederlo, due momenti della congiuntura regionale più recente, proprio attraverso il racconto letterario di una personalità dimenticata e oggi riscoperta, con grande rispetto delle pochissime fonti storiche disponibili.

Il grande ritorno
Il ritorno di Elisabetta, donna libera e giusta, è simbolicamente il ritorno delle aree interne nel dibattito pubblico, intese come luoghi della piccola e della grande storia, dalle enormi potenzialità, ricche di beni culturali e paesaggistici, di prosperità passate e di marginalità da superare. La ferma volontà di Elisabetta di ricominciare ci parla, invece, dell’oggi, del dramma del terremoto che ha colpito duramente i suoi luoghi, l’antica città e il tragitto della sua prima fuga da Camerino a Visso per la via di Pievetorina. Saprò ricominciare è, quindi, la parola d’ordine di chi oggi vive le aree interne e di chiunque auspichi, pensi e operi per la loro rinascita. Con il necessario orgoglio che viene dalle consapevolezza delle proprie radici e che, parafrasando Tiziano Ferro, ci fa ricordare al mondo chi eravamo e che potremmo ritornare.
 
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