Una Million Dollar Baby chiamata
Carlotta: «Donna anche sul ring»

Una Million Dollar Baby chiamata Carlotta: «Donna anche sul ring»
di Laura Ripani
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Lunedì 29 Gennaio 2018, 15:15
Carlotta è bella. Un’esplosione di vita nei suoi 20 anni passati a tirare cazzotti e truccarsi, nel tempo libero. «Due attività che non sono mica in contraddizione» si stupisce quando le si fa notare una certa antinomia. Ma a lei interessa poco. Si gode il titolo conquistato due mesi fa quando diventata campionessa italiana di boxe. Per una che ha arriva da una prestigiosa palestra come la Ascoli Piceno Boxe 1898 - che ha tirato fuori 5 campioni italiani prima di lei ma tutti maschi - un traguardo. Non siamo, insomma, a Marcianise ma poco ci manca. Perché questa ragazzina di un metro e 80 per altrettanti chili di muscoli punta in alto. Molto in alto. Ma riavvolgiamo i fili di una storia che ha come punti fermi due situazioni familiari: i litigi tra i genitori e la malattia del fratello. Vere “molle” che hanno trasformato una timida ragazzina di provincia in una leonessa da competizione.



Gli esordi
«Dopo le scuole medie iniziavo una nuova vita - racconta -. Io volevo fare qualcosa, ero in quel periodo nel quale non sopportavo nessuno e, complice il fatto che i miei non stavano andando d’accordo in quel periodo, volevo fare qualcosa. Ma cosa? Danza non di sicuro, non avevo le caratteristiche già da allora. Dietro la scuola però c’era una palestra. Vidi un murale. E poi avevo visto una telenovela argentina dove c’era una ragazza che “faceva il sacco”. Decisi di andare a vedere. Non sono più andata via. Anche se all’inizio ero una semplice amatrice: mi limitavo a frequentare la palestra tre, quattro volte a settimana e, appunto me la prendevo solo con il pungiball». C’è una storia di sofferenza, come nella migliore tradizione di questo sport duro dietro la decisione di una ragazzina di diventare una professionista. E, sempre nel solco della tradizione, la volontà di non cadere in brutti giri. Ché è un attimo, anche in una tranquilla realtà come quella picena. «Devo dire grazie a Attilio Romanelli e Umberto Di Felice - prosegue Carlotta -. Quest’ultimo ha lavorato sul mio carattere. Si è avvicinato, mi ha chiesto se poteva farmi un video. Si è messo a due metri, l’ho lasciato fare». Ma non è bastato. «Seguivo, non ero protagonista, non volevo esserlo - spiega la campionessa - ma nel pugilato, in palestra, siamo circondati da specchi e come mi avvicinavo alla mia immagine riflessa mi semrbrava di avere qualcosa che non andava».



Il test
Nell’aprile del 2014 la svolta. «Ho combattuto il mi primo test match. Non avevo mai fatto guanti sul ring prima di allora. L’ho fatto con tre ragazzi...quante ne ho prese! Ho cercato, a dir la verità pure di darle». Qualche mese dopo a Roseto si riunì la nazionale italiana di boxe. Mi chiesero se mi andava di allenarmi con le ragazze. Due settimane di preparazione, ad Ascoli poi a Roseto. E c’era la campionessa del mondo, Irma Testa un vero mito, un esempio. Lì, a Roseto, ho capito che quindi non ero l’unica. Ho aperto gli occhi, ho imparato la disciplina dell’atleta, gli orari, gli allenamenti, tre al giorno addirittura. E poi è bella la vita in comune, si mangia insieme, si sta insieme. Mi mancava la mia famiglia ma prima di andar via accettai di fare un test match. Tornai a casa con un occhio nero! Cinque giorni che mi hanno fatto capire come cambia tutto da amatore a professionista». Prima di essere richiamata, nel gennaio 2015 e ancora per il primo torneo nazionale Under 18, arrivò la notizia che però Carlotta non avrebbe mai voluto sentire.



La malattia
«Sono la quarta di 6 fratelli. Era il 2016 e uno di loro si ammalò. Anch’io ebbi un blocco nella mia carriera. Per via di un cancro gli è stato ricostruito metà bacino. Quando l’ho visto camminare di nuovo sono stata così felice che mi sono detta, nessuna impresa è impossibile». E poi non è stato facile per questa ragazza fare quel salto di mentalità che porta a sentirsi un’atleta. A rinunciare a tutte le benedette follie della giovane età per darsi una regola una disciplina. «La nazionale mi ha portato via dai miei amici. Mi ha limitato la vita sociale: no bira, no cocktail, non andare a ballare. Magari i miei amici la sera un po’ si lasciavano andare. Io ordinavo solo acqua. Mi pesava non poter fumare quella sigaretta e avevo soprattutto il timore di perderli visto che ero “diversa”. Ecc, con il senno di poi sono orgogliosa delle mie scelte. Non tanto perché qualcuno si è anche perso e non mi sono fatta trsaportare ma soprattutto perché ho capito, grazie allo sport chi ero e cosa volevo».



Il naso rotto
Non deve essere stato neppure facile, poi, per una normale famiglia - madre casalinga, papà operaio - ritrovarsi una ragazzina che invece di giocare con le bambole tira cazzotti. «Mi dicevano che potevo farmi male e che in palestra mi avrebbero rotto il naso. Però erano contenti che, almeno, non frequentavo cattive compagnie».

La luce
«Piano pieno, però i miei genitori hanno capito che quando tornavo dalla palestra e avevo quella luce negli occhi voleva dire che ero felice. Così mio padre oggi è il mio primo tifoso». E poi un po’ la “colpa” può darsi che sia anche sua: da giovane guardava i match di Mike Tyson. «Ma non ho miti particolari se non l’insegnamento di Muhammad Ali che ripeteva sempre: “Vola come una farfalla, pungi come un’ape”». E di classe, Caroltta sembra ne abbia da vendere, almeno come sostengono i suoi allenatori e chi l’ha vista combattere. Acqua e sapone ma non solo perché, come sostiene lei «sul ring c’è molta femminilità al contrario di quanto si pensi». Il sogno di Carlotta, inutile negarlo, sono gli europei. Li potrà affrontare soltanto se riuscirà a imporsi negli Europei di categoria, gli Under 22 per i quali si sta preparando.

La pressione
«Per me questo è un anno test. Sento la pressione ma non vedo l’ora. Mi piace l’ambiente della nazionale perché ho trovato tante amiche. Con alcune ci conosciamo dal 2014, con altre più di recente. Ma tutte sono molto umili, sappiamo di condividere la stessa passione e questo ci rende squadra. Ci facciamo forza a vicenda». Carlotta comunque non si è fatta certo distrarre dalle sirene della nazionale. Ha portato a compimento gli studi «restavo alzata fino alle 3 di notte per allenarmi e farmi trovare preparata a scuola» e soprattutto ha imparato ad alimentarsi perché per uno sportivo avere il “carburante giusto” è già metà della prestazione. E per un’adolescente vincere la battaglia con il cibo uno dei primi risultati. «Tutto mi faceva ingrassare, ero arrivata a mangiare solo verdure scondite...Conoscere un nutrizionista mi ha cambiato la vita». Un talento, per altro strappato al rugby: »Mi sarebbe piaciuto provare anche questo sport ma il rischiamo della boxe è stato più grande».
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