Da Alcesti fino a Servillo: il senso
di Petra Valentini per la recitazione

Da Alcesti fino a Servillo: il senso di Petra Valentini per la recitazione
di Lucilla Niccolini
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Lunedì 9 Aprile 2018, 13:15
Giugno 2008. Nel rosso del tramonto, sulla terrazza del Cardeto, Alcesti avvolta nel peplo pronuncia le sue ultime parole e muore tra le braccia del marito in lacrime. La giovane attrice è Petra Valentini, protagonista della tragedia di Euripide, messa in scena all’ombra del Vecchio Faro dal Centro Teatrale Rinaldini. Studentessa dell’ultimo anno, pur minuta, domina la scena allestita nello spiazzo affacciato sul mare: diritta, contegnosa, statuaria.



Quella ragazza molto espressiva
Riapparirà solo alla fine, come da copione coperta da un velo, ricondotta dagli Inferi sulla Terra da Eracle. Pur nella breve apparizione, l’interpretazione ha dato luce e nerbo all’intero spettacolo. Come si chiama? chiede una prof di latino tra il pubblico. Quando le dicono «Petra», commenta ammirata: «Nome omen».
«I miei mi hanno chiamato come un personaggio di “Cent’anni di solitudine”: Petra Cotes, una donna allegra e passionale. Sono stata fortunata: se fossi nata maschio mi avrebbero chiamato Oliver». I genitori, Fabrizio Valentini e Cinzia Moreschi, fin da giovanissimi contribuirono a fondare con Briganti, Patarca e Lino Terra il Teatro del Canguro, un punto di riferimento cittadino, che poi sarebbe diventato Stabile di innovazione per l’infanzia.



Arruolata per piccole parti
Si portavano dietro Petra piccina alle prove, agli allestimenti, agli spettacoli: fino a dieci anni, l’unica bambina nella compagnia, arruolata occasionalmente per piccole parti. «Io non vedevo l’ora di cominciare sul serio a recitare. E intanto frequentavo danza classica, alla scuola di Alessandra Casati». Fin dal primo anno di liceo viene scelta per le recite di teatro classico: nella parte di un bambino nell’allestimento de “I Persiani” di Eschilo. «Uno spettacolo bellissimo, che vide debuttare Valentina Rosati giovanissima alla regia. Poi, ogni anno un ruolo diverso. Il mondo classico mi affascinava fin dalle medie, e quando in gita scolastica andammo in Grecia, fu per me un’epifania: ricordo le corse di noi studenti nello stadio di Delfi come un sogno, un tuffo nel passato».

L’atletica come palestra
Naturalmente in quella corsa arrivò prima: praticava l’atletica, correva i 1000 metri. «Una disciplina di resistenza». E di resistenza, Petra (nomen omen) ne ha sempre dimostrata tanta. «Per tanti, quelle recite scolastiche erano un gioco. Per me, una disciplina. Ci divertivamo, ma ho imparato lì il rigore della preparazione. E ho capito quello che volevo fare da grande». La ragazzina minuta e all’apparenza fragile ha tenacia da vendere, e resistenza. Dopo la maturità, iscritta a Scienza della Formazione a Macerata, si mette a lavorare in teatro. «Entrata come maschera alle Muse, guardavo con attenzione ogni spettacolo, osservavo gli interpreti». E per due volte prova a entrare all’Accademia d’arte drammatica di Roma. «Valentina Rosati, che l’aveva frequentata, mi aiutò a preparare i provini. Alla fine della seconda selezione mi sembrava di essere andata bene, ma fui eliminata. Ricordo che osai andare a chiedere il perché al direttore Lorenzo Salveti. Mi rispose che ero troppo… “formata”. Come, troppo preparata? Ci rimasi malissimo, una cocente delusione». Chiunque avrebbe mollato. «Io no. Provo alla Scuola Paolo Grassi e finalmente ce la faccio».



Schmidt la scelse
A sceglierla è Maurizio Schmidt. «Un faro, per me». Tanto gioco di squadra, nell’allestimento degli spettacoli-saggio, tra tutti gli iscritti alle varie discipline: regia, recitazione, scenografia, musica e danza.  «Anche se l’ambiente del teatro è molto competitivo, e anche lì c’erano invidie e gelosie, ti insegnavano a lavorare in équipe. Per questo, o forse per indole, non ho mai aspirato a fare la primadonna. È la compagnia che vince».

Dopo il diploma
Dopo il diploma, alcuni ingaggi. «Protagonista giovane in “Divine parole”, diretta da Damiano Michieletto. Ma lui non ha mai recitato e non sa mettersi nei panni dell’attore. Con Toni Servillo è un’altra cosa!». La professione dell’attore, sostiene Petra, non puoi insegnarla se non la sai fare. Designata da Servillo per interpretare “Elvira”, a Petra sembra di toccare il cielo con un dito. Ce l’ha fatta! «Una tappa importante, ma non un punto di arrivo. Se con questo ruolo mi sentissi “arrivata”, non andrei più avanti. Ma una grandissima occasione di formazione, che mi servirà. Lavorare con lui è meraviglioso, perché è un vero capocomico: quando una scena non lo soddisfa, anche solo una battuta, te la rifà lui stesso, cento volte. E non è mai soddisfatto. Ogni sera modifica un particolare. Devo stare sempre in ascolto, perché ogni mia reazione, in scena, dev’essere in sintonia con lui. E lui non è mai uguale».

Gli occhioni da cerbiatto
Con i suoi occhioni da cerbiatto, Petra ha imparato molto presto a osservare. Aggrotta un po’ le sopracciglia, stringe le labbra, e ricomincia. «Tanta concentrazione, e tanta fatica. Bandita ogni improvvisazione, zero superficialità. Non è un mestiere da prendere alla leggera, neanche quando hai qualche riscontro positivo. Servillo è molto parco di elogi, ma la prima volta che mi ha visto con l’abito di scena di Claudia, ha esclamato “Ecco come me l’ero sempre immaginata!”. E proprio ad Ancona l’ho sentito mormorare: “Ottima replica. Finora la migliore”. Non ce l’aveva mai detto». E finalmente sorride, l’austera Alcesti, da quel suo viso serissimo e drammatico.

Mestiere precario, da sempre
«Non mi vedo a fare altro nella vita che l’attrice. Anche se è un mestiere molto precario, di questi tempi. O forse lo è sempre stato». Anche l’amore l’ha trovato sulle scene. «Con Lorenzo Frediani, mio compagno alla Paolo Grassi. Ma è stata dura, dopo il diploma ci vedevamo pochissimo, se non quando lavoravamo insieme». L’amore ora è finito, restano l’amicizia e la stima reciproca. «A giorni, in residenza a Villa Nappi di Polverigi, “Elvira” permettendo, cominceremo a metter mano insieme a un nostro progetto su Macbeth. Vederlo in scena è il mio principale sogno nel cassetto». Figli, famiglia? «Lasciamo perdere. È un altro sogno, rimandato, ma vitale. Mi crea qualche conflitto interiore». Le ha dato tanto, la famiglia, sua culla anche per la professione di attrice. «Mia madre, che ha spirito organizzativo, mi segue e consiglia, mi ricorda gli impegni, quasi fosse la mia agenda. Non c’è giorno che non passi una buona mezz’ora al telefono con i miei. Sono il mio punto di riferimento, i loro consigli sono sempre preziosi». Il futuro? «Non so quello che mi aspetta, ma voglio che sia sempre sorprendente». Petra batte le ciglia. Gazzella? No, leonessa.
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