Nicola, Carlotta e le altre: le guerriere
del cancro che dobbiamo ringraziare

Di Drengot - Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=56056691
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di Annalisa Pavoni
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Domenica 18 Febbraio 2018, 12:54
Sono partita, e la prima notizia che leggo in aereo è che Nicola Mendelsohn, vicepresidente di Facebook per Europa Africa e Medio Oriente, ha annunciato di avere un cancro incurabile. 46 anni, in foto bella e radiosa, madre di 4 figli, Mendelsohn ha deciso di aprire una pagina sul social per entrare in contatto con altri malati di cancro (“i guerrieri”, così chiamati anche da noi) e “sentirsi meno soli”. Durante il viaggio di ritorno verso casa, la prima cosa che sento per radio è un’articolata discussione su come Nadia Toffa ha raccontato a “Le Iene” di aver avuto un cancro guarito in 2 mesi. Io non guardo le Iene, ma ricordo di alcuni “discutibili” servizi su “cure alternative” (Stamina). Decido di vedere la Toffa per farmi un’idea. Ci sono due messaggi fondamentali che ha lanciato per quella vasta platea: il cancro non è una vergogna, il cancro si cura con chemioterapia e radioterapia (e ormonoterapia e immunoterapia, aggiungo io). Non si cura con l’acqua, le pozioni magiche, gli unguenti e le caramelle. Detto in una trasmissione che non l’aveva professato così chiaramente “prima”, mi è sembrato importante. Il malato di cancro è una “persona” e tale deve rimanere per gli affetti, la società, i datori di lavoro. È un lavoro biunivoco, del malato e degli “altri”. Una persona che non deve sentirsi sola. «Non voglio che il cancro mi fermi. Voglio che mi formi» scrisse una donna bellissima, di tanti, grandi talenti, storica dell’arte, violinista, scrittrice e blogger: Carlotta Nobile (nella foto). Il cancro l’ha fermata per sempre il 16 luglio 2013, a 25 anni. Ma il suo insegnamento più duro e puro è rimasto. Io la ringrazio. Grazie Carlotta.
 
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