Raggi e il rischio declassamento: «Servono più poteri e più risorse»

Raggi e il rischio declassamento: «Servono più poteri e più risorse»
di Fabio Rossi
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Domenica 17 Febbraio 2019, 11:59
ROMA Più poteri e fondi, anche per completare finalmente quella riforma di Roma Capitale ferma ai box da più di otto anni. Ma al Governo Virginia Raggi chiede anche (e soprattutto) di guardare in prospettiva a una città che possa mantenere degnamente il proprio ruolo: un secco no allo svuotamento della Città eterna da ministeri e aziende, che si tradurrebbe in un colpo mortale per economia e capacità di attrazione di nuove energie. È un dossier ricco e articolato quello che dal colle capitolino è stato trasmesso in direzione Palazzo Chigi, con il suggello dell'incontro tra la sindaca e il premier Giuseppe Conte, in vista del delicato passaggio della legge sull'autonomia. Una fase in cui Roma teme un declassamento di fatto: e Raggi vuole scavare la sua trincea proprio contro quest'ipotesi.

I CONTI
L'inquilina del Campidoglio elenca i punti vitali per Roma, ma parte da una considerazione che rivendica come vera discriminante della sua amministrazione: «Noi i compiti a casa li abbiamo fatti». La Capitale, insomma, chiede sì più soldi e una maggiore attenzione da parte dello Stato. Ma può permettersi di farlo perché - secondo il ragionamento della sindaca - è in grado di presentare risultati contabili che la allontanerebbero dal club delle cicale: pareggio di bilancio e riduzione (da 1,2 miliardi a 900 milioni di euro) del debito accumulato negli ultimi dieci anni, ossia da quando una legge speciale ha affidato alla gestione commissariale la voragine debitoria (oltre dieci miliardi) accumulata fino al 2008 dal Comune di Roma. Un obiettivo raggiunto, ha sottolineato Raggi al premier, «rinegoziando i vecchi mutui e riducendo i debiti fuori bilancio». Insomma, la sindaca vuole mostrare un volto virtuoso della Capitale per frenare le tentazioni del un autonomismo spinto che si aprirebbe a spinte centrifughe difficilmente controllabili.

IL PIANO
Il primo step, per Palazzo Senatorio, sarà portare a casa i decreti attuativi della riforma di Roma Capitale che puntano a dare risorse adeguate alla città per le funzioni che svolge: con 450 sedi diplomatiche, i palazzi delle istituzioni e anche un altro Stato, la Santa Sede, all'interno del territorio comunale. Oggi alla Città eterna vengono riconosciuti ogni anno 110 milioni di extra costi, peraltro legati al piano di riequilibrio dei conti stilato cinque anni fa con Palazzo Chigi. Una cifra che in Campidoglio vorrebbero almeno triplicare. Sull'entità dei fondi che potrebbero essere richiesti al Governo, peraltro, resta agli atti una dichiarazione della sindaca che, rivolta al precedente esecutivo, quantificava in 1,8 miliardi le risorse extra necessarie per finanziare gli interventi inseriti nella cosiddetta Agenda per Roma.

LA RIFORMA
La sindaca aspettava da tempo il momento adatto per chiedere «più poteri per Roma», completando «la trasformazione avviata con il decreto del 17 settembre 2010». E ora propone una cabina di regia interistituzionale, guidata dal Campidoglio, per portare in fondo una riforma che aumenterebbe i poteri della Capitale, trasformandola di fatto in una Regione semi-autonoma all'interno del Lazio. Si tratta di competenze particolarmente importanti e delicate, che vanno dai trasporti all'urbanistica, dal commercio alla tutela dell'ambiente: amministrarle direttamente significherebbe, per esempio, gestire senza intermediari i fondi per il trasporto pubblico locale e la pianificazione del territorio.

LA SVOLTA
Con oneri e onori, come il caso dei trasporti: una risorsa fondamentale per il territorio ma che porta in dote anche una serie di questioni cruciali da risolvere. E poi il tema di rifiuti, che la Capitale dovrebbe risolvere in toto. Unica eccezione la sanità, che resterebbe invece in capo all'ente regionale ufficiale: un settore di grandi eccellenze, quindi, ma anche una macchina enorme e bisognosa di grandi finanziamenti, che sta faticosamente uscendo da un decennio di commissariamento. Completare la riforma sarebbe una svolta notevole, per il ruolo e le finanze della Capitale che, otto anni dopo la firma dei primi decreti, è ancora di fatto un Comune come tutti gli altri.
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