Autonomia, riforma costituzionale mascherata

Autonomia, riforma costituzionale mascherata
di Mauro Calise
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Lunedì 18 Febbraio 2019, 00:02 - Ultimo aggiornamento: 01:10
Come previsto, la questione delle autonomie si è trasformata in un ginepraio, e rischia – per usare una metafora più appropriata – di diventare un Vietnam. La posta in gioco non è grossa, è enorme. E si divide in due piatti. Il primo, nobilissimo, riguarda l’efficienza amministrativa. Le regioni del Nord rivendicano di saper fare meglio da sé. E ha fatto bene il governatore De Luca a rispondere che, su questo piano, la Campania accetta volentieri la sfida. C’è da augurarsi che le altre regioni del Sud lo seguano a ruota, così da sgombrare il campo dall’equivoco che qui siamo ancora in Borbonia. 

Poi, però, c’è il secondo piatto. Quanto costerà l’operazione, e chi paga? Qui le lingue si imbrogliano. I presidenti di regione nordisti dicono che si farà tutto a saldo zero. Ma ci credono solo loro. Le analisi più accreditate sostengono che il Sud ci rimetterà. Il conto – forse – non arriverà subito, ma poi diventerà salatissimo. E, al danno, si aggiungerà la beffa. Come ha notato giustamente il governatore della Calabria Oliviero, su quali spese e parametri si misurerà il dare e avere? Per esempio, gli investimenti per l’Alta velocità in Emilia sono costati cinque miliardi, in Calabria non hanno speso un euro. Questo ci azzecca con l’autonomia? O si userà, alla Totò, la formula di «chi ha avuto ha avuto ha avuto…»?

Col che arriviamo al nodo politico, che sta venendo bruscamente al pettine. I Cinquestelle hanno frenato. Certo, l’autonomia fa parte del contratto di governo, ma – come in quasi tutte le voci dell’accordo – il diavolo si nasconde nel dettaglio. E qui i dettagli sono tantissimi. Si comprende che Di Maio e soci vogliano vederci chiaro, considerato che i loro voti sono in larga maggioranza al Sud. Che succede se, in un paio d’anni, gli elettori meridionali dovessero accorgersi che per un piatto di lenticchie – il reddito di cittadinanza elargito col contagocce – con la scusa dell’autonomia si sono fatti sfilare dalla tasca un bel gruzzolo di servizi essenziali? Qui non si tratterebbe più di una flessione nei consensi, ma rischierebbe di aprirsi una voragine. 

La realtà è che l’intera questione sta diventando un harakiri politico. Non solo per i partiti di governo, ma per tutto il paese. L’idea che si potesse rilanciare dalla finestra delle trattative bilaterali un federalismo spintissimo che era stato sonoramente bocciato nel referendum costituzionale del 2006 si è rivelata una pessima idea. Ancor più per il tentativo di realizzarla quasi alla chetichella, con una trattativa spezzatino e mettendo il Parlamento in un angolo. 
Per uscire da questa impasse, ed evitare che lo scontro prenda una piega esplosiva, c’è una sola strada. Fermare le bocce, e convocare intorno a un tavolo tutte le Regioni. Del Nord, del Sud e del Centro. È quello che sarebbe successo se fosse andata in porto la riforma del Senato proposta da Renzi che, tra tanti difetti, aveva il pregio di prendere di petto il nodo su cui rischia di spaccarsi l’Italia. Con le risorse statali che diventano, di anno in anno, più scarse, c’è bisogno di una sede istituzionale autorevole, non espressione diretta dei partiti, che funga da camera di compensazione. Scelte così impegnative per la tenuta del paese, e della integrità nazionale, non possono essere lasciate al tiraemolla di qualche tavolo ufficioso. Quali che siano le decisioni, devono avvenire nel segno della massima trasparenza. E del massimo coinvolgimento di coloro che saranno tenuti a risponderne, di fronte ai propri elettori. E visto che se si aggiunge a qualcuno si toglie inevitabilmente a qualcun altro – questo anche i bambini lo capiscono – è indispensabile che le regioni del Sud siano tutte coinvolte in qualsiasi patto il governo intenda siglare.
Perché non di un accordo di governo si tratta, ma di un nuovo patto costituzionale. Lo ha detto fuori dai denti il presidente della commissione Affari costituzionali, il grillino Giuseppe Brescia: «Siamo di fronte a una riforma costituzionale mascherata». Nell’interesse dell’Italia, c’è una sola soluzione: giù la maschera.
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