Pesaro, sanità di prossimità: disagio e timori. «È mancata la politica del territorio»

Sanità di prossimità: disagio e timori
Sanità di prossimità: disagio e timori
di Lorenzo Furlani
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Mercoledì 14 Giugno 2023, 03:20 - Ultimo aggiornamento: 12:08

PESARO La politica locale non c’è sulla sanità territoriale, non c’è stata concertazione sulla dislocazione delle strutture di prossimità finanziate dal Pnrr. È mancata una pianificazione razionale delle opere che devono essere realizzate con i 70 milioni di euro destinati alle Marche (29 case della comunità, 9 ospedali di comunità e 15 centrali operative territoriali).

L’opportunità storica per riorganizzare il sistema sanitario a favore dell’assistenza di prossimità, dopo la tragica esperienza della pandemia che ha visto nei picchi delle infezioni di Covid-19 l’assenza del territorio e il collasso dell’ospedale, rischia di diventare così l’ennesima occasione perduta.

La riorganizzazione

Preoccupazioni e disagio, insieme alla buona volontà dei dirigenti responsabili dell’integrazione sociosanitaria dei servizi, sono emersi dalla tavola rotonda “Sanità, chi la curerà? L’assistenza di prossimità tra realtà e aspettative” organizzata dall’associazione Apriti Pesaro nella Sala rossa del Comune, con la partecipazione di un pubblico qualificato.

Pesaro e Fano non avranno una casa della comunità, prevista dalle linee nazionali ogni 40/50mila abitanti, ovvero la struttura centrale della nuova organizzazione per una presa in carico appropriata ed efficiente del paziente (a Pesaro ne sarà allestita una a Galantara di Trebbiantico, lasciando scoperti il centro e il Nord della città, a Fano terza città della regione non ne è stata programmata nessuna). Quindi, i cittadini dei due centri più popolosi della provincia continueranno a fare riferimento agli ospedali.


La sanità territoriale marchigiana, al riguardo, sconta un deficit di risorse di oltre 200 milioni di euro: il 7% in meno rispetto allo standard del 51% del totale. Inoltre, manca il personale per il nuovo fondamentale servizio dell’infermiere di famiglia incentrato sulla domiciliarità e iniziano già a essere carenti, per raggiunti limiti di età, i medici di medicina generale, fulcro del potenziamento programmato delle cure primarie e intermedie rispetto al ricovero ospedaliero, in uno scenario in cui la sanità pubblica arretra con una nuova riduzione del fondo sanitario nazionale dopo l’inversione degli anni del Covid.

Infine, è allarmata la domanda sui tempi del Pnrr: entro il 30 giugno 2026 si arriverà a completare le strutture della missione 6 salute, pena il loro definanziamento, visto che mancano appena 3 anni e la Regione deve ancora emettere i bandi per i lavori?

Il cronoprogramma

In questo quadro, ha brillato per l’ottimismo la direttrice del distretto sanitario di Pesaro, Elisabetta Esposto, che ha garantito come i progetti di casa e ospedale di comunità procedano secondo il cronoprogramma, sottolineando che nel distretto già si cerca di organizzare il servizio dell’infermiere di comunità, per quanto manchi una casa della comunità centrale, che in futuro dovrebbe essere realizzata al San Salvatore.

L’atto d’accusa è venuto da Roberto Drago, direttore dell’Ambito territoriale sociale 1: «È mancata la politica del territorio, a Pesaro si è discusso solo di ospedale, nessuno ci ha interpellato quando è stata scelta la sede della casa della comunità, fuori dal contesto cittadino dove vivono le persone, inizialmente a Mombaroccio».

Drago si è detto convinto che la sanità perderà questa sfida perché è «aziendalistica e anonima». La risposta potrà venire solo dal tradizionale dialogo sul territorio tra i servizi sociali dell’Ats 1 e quelli sanitari del distretto, i cui territori già coincidono.

Lo squilibrio

Ad affondare il coltello è stato Franco Pesaresi, direttore dell’Asp di Jesi, che ha paragonato la distribuzione delle strutture di prossimità nelle Marche all’estrazione dei comuni da un bussolotto: tra vecchi e nuovi presidi, per le case della comunità si passa da una struttura ogni 13mila abitanti a Senigallia a una ogni 65mila a Pesaro e per gli ospedali di comunità da 110 posti letto ogni 100mila abitanti nel distretto di Urbino a 10 nel distretto di Senigallia.

L’articolato confronto è partito dall’analisi storica del sistema sanitario svolta da Nicola Giannelli, ricercatore dell’università di Urbino, a partire dalla legge istitutiva del servizio sanitario nazionale del 1978, che nominava per la prima volta i distretti sanitari finiti poi schiacciati dal cosiddetto ospedalocentrismo (sulla pagina Facebook di Apriti Pesaro la registrazione video del dibattito).

I rischi del Pnrr

 Al dibattito hanno preso parte anche i consiglieri regionali Andrea Biancani (Pd) e Marta Ruggeri (M5S). Il primo ha evidenziato gli errori commessi nella localizzazione della casa della comunità e nel trasferimento dei servizi della cittadella della salute mentale di Pesaro; la seconda i timori sui tempi non rispettati del Pnrr, lamentando mancanza di trasparenza.

Tema rilanciato da Luca Pandolfi, presidente dell’Ats 1, che da ingegnere ha riportato l’esperienza dei corsi di formazione in cui si rileva che per realizzare un progetto da 5 milioni di euro in Italia occorrono 15 anni (l’ospedale di comunità di Mombaroccio ne costa 3,6). Vania Sciumbata, della Cgil sanità, ha segnalato lo scivolamento in Italia del sistema verso il privato (che gestisce il 48% degli ospedali, il 72% della residenzialità, il 78% della semiresidenzialità, il 75% della riabilitazione) con il dubbio che la governance sia ancora pubblica.

Giovanni Del Gaiso, tesoriere dell’Ordine provinciale dei medici, ha auspicato una riforma morale che parta dai medici con l’appoggio dell’opinione pubblica contro i poteri forti che dominano la sanità. 

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