Il delitto dopo la sniffata di coca
«Ho perso la testa, non ero io»

Il delitto dopo la sniffata di coca «Ho perso la testa, non ero io»
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Lunedì 16 Luglio 2018, 06:15 - Ultimo aggiornamento: 17 Luglio, 10:11

PESARO - La violenza, incontenibile e distruttiva, è esplosa all’improvviso dopo un “tiro” di cocaina. «Ho perso la testa, non ho capito niente, non ero più io». Zakaria Safri, 38 anni, marocchino regolare in Italia, residente a Pesaro da molti anni, ha confessato l’omicidio di Sabrina Malipiero, 52 anni, la graziosa e minuta commessa, madre di due figli giovani separata dall’ex marito, che era stata trovata senza vita nella sua casa di via Pantano 89, a mezzogiorno di sabato, dal figlio Stefano. Il 38enne è crollato alle 5 di ieri, dopo 17 ore di pressanti indagini e di interrogatori della squadra mobile di Pesaro e dei magistrati inquirenti. Dalle 11 di ieri si trova nel carcere di Villa Fastiggi con l’accusa di omicidio aggravato, oltre che di furto, in seguito al provvedimento di fermo firmato dai pm Silvia Cecchi e Fabrizio Giovanni Narbone.
 

 


 

Zakaria Safri era un amico della vittima e del suo attuale compagno. Frequentava abitualmente l’abitazione di via Pantano. Ciò che emerge dalle indagini, è che la mattina dell’omicidio, fissato dagli inquirenti alle 16 di venerdì, Zakaria Safri sarebbe dovuto partire per Milano insieme al compagno di Sabrina, che è un camionista con il quale ogni tanto lavora. Ma non si era svegliato. Perciò alle 13 era andato a casa della donna per giustificarsi e lei aveva mandato un messaggio al suo fidanzato. In quella casa era tornato alle 15,40, per chiedere a Sabrina la disponibilità della sua auto, che lei era solita prestargli, perciò l’avrebbe accompagnata al lavoro nel supermercato Tigre di via Faggi, dove il turno partiva alle 16.
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Su quei 20 minuti vertono la ricostruzione del delitto e anche l’opacità residua dell’indagine, quella del movente, che non è stato chiarito e, nel caso di un delitto d’impeto sotto l’effetto di sostanze stupefacenti, potrebbe mancare del tutto. Il 38enne ha raccontato che prima di uscire lui e la donna hanno consumato cocaina, una riga a testa. È la pista della droga che l’inchiesta aveva subito imboccato, perché agli inquirenti risulta che quella sniffata comune non fosse la prima. Poi la situazione è precipitata, in modo irreparabile. Zakaria Safri non ha spiegato perché. Ha cambiato versione più volte, ma anche dopo il crollo emotivo e psicologico che l’ha portato alla confessione - verbalizzata dalle 6 alle 7,30 di ieri mattina presso la procura della Repubblica di Pesaro - l’immigrato ha sostenuto di non ricordarsi l’intero accaduto: «Ho avuto un blackout». Rammenta che tutto sarebbe partito da una parola sgarbata e offensiva pronunciata da Sabrina, dopo averlo invitato ad attenderla in auto mentre lei andava in camera a cambiarsi la maglia. Lui, tornato sui suoi passi, le avrebbe chiesto ragione di quell’insulto, forse dettato dalla tensione per un possibile ritardo al lavoro, e lei avrebbe risposto: «Dico quello che mi pare». Così, per un motivo banale, sarebbe deflagrata l’ira, resa cieca dalla droga: pugni sul volto della donna e due fendenti alla gola con il coltello usato per dividere la cocaina.

Perciò i pm contestano per l’omicidio l’aggravante dei futili motivi. L’avvocata Francesca Biagioli ha affiancato Zakaria Safri nell’interrogatorio in Questura a partire da mezzanotte e tre quarti fino alle 4,30 di ieri, quando l’immigrato (a cui i poliziotti erano arrivati sin dalle 13 di sabato) sosteneva di aver trovato la donna già agonizzante nella casa. Ma c’erano evidenti incongruenze perché alle 15,27 di venerdì Sabrina aveva inviato un messaggio vocale su Whatsapp a una collega per avvertirla che sarebbe giunta al lavoro alle 16. Poco più di 10 minuti sono pochi perché un altro ipotetico assassino potesse compiere il delitto e nel frattempo dileguarsi. Inoltre, c’erano la tumefazione tra indice e pollice della mano destra del sospettato e un graffio sul petto.

«Penso che Zakaria sia stato completamente annebbiato nel delitto dall’assunzione di cocaina - afferma l’avvocata Biagioli -, lui è dipendente dalla droga».
L’accusa di furto si riferisce alla sottrazione di alcuni oggetti su cui c’erano impronte, portate dal reo confesso a casa sua, usando la Daewoo Matiz della vittima, insieme a un borsone da viaggio e alla borsetta con gli effetti personali della donna, dentro cui è stata trovata della cocaina. «L’avrebbe fatto per occultare le sue tracce - rileva l’avvocata - ma nella casa del delitto ha lasciato la sua maglietta imbrattata di sangue insieme all’asciugamento usato dopo essersi lavato. Comportamenti strani. Ha parcheggiato l’auto della donna vicino alla sua abitazione, dove ha detto di essere andato ad aspettare l’arrivo della polizia».

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