Annibali, Luca Varani condannato a 20 anni di carcere «perché voleva farle male e senza pentimento». Ma ora potrebbe uscire prima dal carcere

Annibali: "Varani? Ci penserò quando sarà il momento"

Annibali, Luca Varani condannato a 20 anni di carcere «perché voleva farle male e senza pentimento». Ora potrebbe uscire nel 2027
Annibali, Luca Varani condannato a 20 anni di carcere «perché voleva farle male e senza pentimento». Ora potrebbe uscire nel 2027
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Martedì 4 Luglio 2023, 14:13 - Ultimo aggiornamento: 18:25

PESARO L'11 maggio 2016, la prima sezione penale della Cassazione, ha confermato la condanna in via definitiva a 20 anni di carcere per Luca Varani. L'ex fidanzato di Lucia Annibali potrebbe uscire dal carcere grazie a uno sconto per buona condotta nel 2033, passando peraltro gli ultimi 6 anni in una comunità di recupero visto che al momento dei fatti era tossicodipendente. Uno scenario che stride profondamente con le motivazioni della sentenza di Cassazione per la condanna per aver sfregiato con l’acido Lucia Annibali. Nessuno sconto per le lesioni gravissime (l’acido in faccia), lo stalking, il tentato omicidio per aver manomesso le manopole del gas: le motivazioni erano uscite all’indomani della messa in onda su Rai Uno della Fiction “Io Ci sono”, con Cristiana Capotondi, sulla storia di Lucia Annibali. «Sono passati 10 anni, ci sta - ha commentato Lucia Annibali - È andata come doveva andare. Era stato condannato a 12 anni, ne ha scontati nove qui, si sapeva che sarebbe stato espulso. Varani? Ci penserò quando sarà il momento». 

«Voleva farle del male»

Nelle pagine si legge: «I gravissimi danni fisici, morali e psicologici, lo sfregio permanente del viso e la deformazione dei lineamenti del volto, la stessa scelta di usare l’acido come arma per fare più male, e poi il regime di vita, l’assunzione di stupefacenti, la condotta processuale e l’assenza di pentimento». Per i giudici di Cassazione Luca Varani non meritava sconti. La condanna definitiva risaliva al 20 maggio. Tra le pagine si evince che non c’è nessun dubbio che l’uomo fosse «il mandante» dell’attacco con l’acido a Lucia Annibali, compiuto dai due albanesi Altistin Precetaj e Rubin Talaban nel 2013; che avesse agito con premeditazione, con «crescente invasione della vita privata» di Lucia, fino a maturare l’intento punitivo, l’irruzione a casa dell’ex fidanzata per manomettere la sua cucina, e l’idea di procurarsi dell’acido per farle cancellare il volto.


La prima sezione penale


La prima sezione penale della Cassazione nelle motivazioni della condanna a Varani evidenzia come «le sentenze di merito indicano tutti gli elementi che in una progressione evolutiva delle investigazioni hanno indotto a ritenere provato con certezza il ruolo dell’imputato nella sua qualità di mandante».

La pena è salita fino a 20 anni per la mancata concessione delle attenuanti generiche, la premeditazione. Gli elementi di prova «sono molteplici», dalle dichiarazioni che Lucia Annibali, che «nell’immediato, esternò il suo sospetto», a quelle dei soggetti ascoltati, ai «riscontri oggettivi offerti dalle investigazioni che hanno permesso di rilevare tracce di acido sia sulla persona di Varani sia sulla sua vettura». Tutte tasselli che vanno nella stessa direzione della «confessione» che l’uomo aveva fatto al suo compagno di cella, allo scopo di prendere contatto coi due albanesi per concordare una versione da tenere in tribunale.


La ricostruzione


I giudici di merito, hanno ricostruito «ampiamente il fatto, collegandolo alla relazione sentimentale» tra Varani e Lucia conclusa nell’ottobre 2012, qualche mese prima dell’attacco. La Cassazione, sottolinea come nel processo si è “ampiamente dimostrato il reato di atti persecutorio: si è dato conto della continua presenza del Varani nello stabile della Annibali, delle incursioni nella struttura sportiva frequentata dalla ragazza e dello stato d’animo che comportamenti siffatti avevano ingenerato nella vita» di Lucia. Varani era arrivato, come ricostruito in sentenza, ad iscriversi nella piscina frequentata dalla donna, dando un nome falso, Marco Guerra, e un numero di cellulare inesistente al solo scopo di tenerla sotto «controllo» ed entrare negli spogliatoi femminili dove teneva le sue cose. Si era poi impossessato delle sue nuove chiavi di casa, quelle che davano accesso all’appartamento dopo il cambio di serratura. Lucia le aveva in macchina, ma non aveva più trovato.

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