Fano, inchiesta aperta sul Lisippo
Dopo 50 anni due indagati viventi

La statua del Lisippo nelle condizioni in cui fu ripescata
La statua del Lisippo nelle condizioni in cui fu ripescata
di Lorenzo Furlani
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Sabato 16 Dicembre 2017, 09:53 - Ultimo aggiornamento: 11:23
FANO - I conti con la giustizia di quanti si sono occupati, a vario titolo, della statua attribuita allo scultore greco Lisippo, ripescata nel mare Adriatico e sbarcata a Fano nel 1964, non sono ancora chiusi. Né le vicende processuali sembrano destinate a esaurirsi con il pronunciamento del giudice Giacomo Gasparini del Tribunale di Pesaro sull’incidente di esecuzione per la confisca dell’Atleta vittorioso, detenuto dal 1977 dal Paul Getty Museum di Malibù, una decisione attesa per l’inizio del 2018.

C’è ancora un’indagine aperta presso la procura della Repubblica di Pesaro sui fatti storici legati alla statua, un’indagine cristallizzata, nel senso che non possono più essere compiuti atti investigativi perché i termini sono ampiamente scaduti, ma non formalmente chiusa in attesa dell’esito della procedura per la confisca, che influenzerà inevitabilmente le determinazioni del pubblico ministero Silvia Cecchi.

L’iscrizione risale al 2009 dopo l’archiviazione, per morte dei rei o prescrizione, dell’indagine sul contrabbando e l’esportazione illecita della statua, avviata dalla procura della Repubblica di Pesaro nel 2007 in seguito all’esposto dell’associazione “Le Cento Città”, da cui poi scaturì la richiesta di confisca del reperto archeologico oggetto del reato.

Il pm per l’iscrizione ha ipotizzato il reato di opere illecite previsto dal cosiddetto Codice Urbani del 2004 (che ha innovato una normativa del 1939) a cui soggiace “chiunque senza autorizzazione demolisce, rimuove, modifica, restaura ovvero esegue opere di qualunque genere” su un bene culturale appartenente allo Stato. In pratica, l’ipotesi si riferisce al restauro eseguito a Monaco di Baviera nei primi anni Settanta e a ogni altra modifica apportata alla statua, ovviamente senza l’autorizzazione dell’autorità amministrativa italiana rispetto a cui il Lisippo rimase sempre clandestino.

Nella memoria depositata per la confisca, il pm osserva che è doveroso prospettare il concorso nel reato, con chi ha gestito il restauro, di quanti hanno pescato, trafugato, occultato e acquistato la statua. Nel senso che la ripulitura dalle incrostazioni marine era chiaramente funzionale alla fruizione privata e pubblica del reperto.

Perciò sono stati iscritti sul registro degli indagati i nomi di Romeo Pirani e Guido Ferri comandanti dei due pescherecci di Fano coinvolti nel ritrovamento; dei fratelli Pietro e Fabio Barbetti e del cugino Giacomo che trattarono e occultarono l’opera a Gubbio; di Heinz Herzer e David Carrit del consorzio Artemis che acquisì la statua dai Barbetti ed eseguì il restauro; dei referenti del Paul Getty Museum: Jiri Freil curatore delle antichità, il magnate Jean Paul Getty e il direttore del museo Stephen George Garret, che trattarono e acquistarono (per 3,95 milioni di dollari) l’Atleta vittorioso.

Nello stesso fascicolo sono iscritti per l’esportazione illecita della statua, trasferita nel 1971 a Londra e quindi a Monaco, l’avvocato Vittorio Grimaldi e il funzionario ministeriale della Pubblica istruzione Luigi Salerno.

Le indagini svolte assumono un valore più storico che processuale visto che in base alle informazioni disponibili alla procura ora sono viventi solamente Garret e Grimaldi; per tutti gli altri quindi l’eventuale reato si è estinto con la morte. Tuttavia, il fascicolo mantiene un interesse processuale perché mentre l’esportazione clandestina è prescritta le opere illecite sulla statua, secondo la giurisprudenza, costituiscono un reato permanente.
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