La sicurezza e i protocolli arrotondati per eccesso

1 Minuto di Lettura
Lunedì 21 Gennaio 2019, 05:04
Edoardo Danieli
Non è successo niente. È il titolo di un meraviglioso libro di Tiziano Sclavi. Non è successo niente è anche la frase più felice con cui, chiunque si sia mai occupato di prevenzione e protezione civile, conclude il suo lavoro. Perché il lavoro per evitare guai, se fatto bene, produce un nulla di fatto, pieno di impegno e sacrifici che è giusto lodare. Dire che ieri non è successo niente, significa dare conto di come l'evacuazione di 12mila abitanti per il disinnesco dell'ordigno bellico trovato agli Archi abbia funzionato bene. Così bene che il cessato allarme è scattato cinque ore prima del previsto e che delle quattromila persone attese nei centri di raccolta se ne sono presentate poco più di duecento. Sono discrepanze troppo evidenti per non suscitare qualche domanda anche a chi non è abituato a farne (e a farsene fare). Non tanto sulla gestione quanto sulla programmazione dell'evacuazione: troppe ore e troppi numeri sono stati arrotondati per eccesso, neppure aleggiasse lo spirito del mago Otelma. La frase intensamente burocratica dietro cui si trincera ogni richiesta di spiegazione su questa discrepanza si infrange su una paroletta magica: è il protocollo. Dei tanti insegnamenti positivi di ieri, non si può ritenere negativo dire che se questo è il protocollo, è il caso di ripensarlo. È un passo ulteriore per creare quell'autotutela che è alla base di ogni pratica di protezione civile. Perché un cittadino che si sente ostaggio dei protocolli, non è un cittadino che collabora. E, anziché ai centri di raccolta, va ai centri commerciali.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
© RIPRODUZIONE RISERVATA