Addio ad Alaïa, il «re alieno» della moda
francese: lanciò Naomi Campbell

Addio ad Alaïa, il «re alieno» della moda francese: lanciò Naomi Campbell
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Sabato 18 Novembre 2017, 18:18 - Ultimo aggiornamento: 18:21
Era istintivo. Un maniaco della perfezione. Se un orlo non andava bene o un filo scivolava appena fuori dalle cuciture, era capace di rivoltare l'abito all'infinito, fino a quando non fosse stato impeccabile. Vivace, fulminante, instancabilmente invettivo. Era fatto così Azzedine Alaïa, lo stilista franco tunisino morto a Parigi all'età di 77 anni. Leggenda della moda francese, ultimo vero couturier, in oltre 50 anni di carriera, Alaïa non si è mai piegato alle logiche commerciali e ai ritmi infernali dettati dalla moda. Preferiva rimanere ai margini del sistema, lui. Se e quando sfilare, lo decideva da sé. E proprio nel luglio scorso, durante la settimana della couture parigina, The King of Cling, il re dell'aderente, come lo avevano ribattezzato gli addetti ai lavori, aveva deciso di tornare in pedana con gli abiti da sera e i tubini in maglia sui quali aveva costruito la propria fortuna.

Piccolo Alaïa lo era solo di statura, perché con le forbici in mano è sempre stato un gigante. Un talento straordinario nascosto dietro quei completi neri a collo alto con l'abbottonatura cinese, che erano la sua divisa, dalla quale raramente si separava. Il sorriso timido, appena accennato, unito al suo straordinario talento creativo, negli anni avevano conquistato schiere di donne. Attrici e cantanti. Regine e modelle. Tutte facevano parte del suo cerchio magico. C'era Greta Garbo, la diva. Grace Jones, l'egeria. E poi Naomi Campbell, la sua protetta. Era adolescente la Venere nera quando arrivò a Parigi e venne accolta sotto l'ala protettiva di Alaïa, che ancora oggi chiamava affettuosamente 'mon papà, il mio papà.

Nato a Tunisi, nel 1940, Alaïa si appassiona alla moda da bambino, sfogliando le pagine patinate di Vogue e ammirando le copie degli abiti di Dior che indossava la moglie di un suo zio. Dalla moda viene folgorato ed è disposto a tutto pur di entrare nell'Accademia delle Belle Arti di Tunisi, tanto da mentire sull'età. Dopo aver terminato gli studi in scultura inizia il suo percorso nella moda come assistente di un sarto, per poi volare a Parigi, dove lavora prima da Dior, e poi con Guy Laroche. Il vero successo arriva da Thierry Mugler, cui segue la decisione di aprire un proprio atelier a fine anni '70. La Ville Lumière lo accoglie a braccia aperte e gli spalanca le porte del successo. Schivo e timido, invece che usare la voce ha sempre preferito far parlare i suoi abiti, veri capolavori sartoriali, realizzati con una precisione quasi geometrica, creazioni che sembrano vive, materia tessile in costante tensione. Molte le grandi donne passate sotto le sue forbici, nell'atelier di rue de Bellechasse, sulla Rive Gauche.

Dalla divina Greta Garbo, per la quale realizzò cappotti e abiti che poi riacquistò alla sua morte, fino a Grace Jones, Naomi Campbell, Tina Turner, e Franca e Carla Sozzani, delle quali è stato anche grande amico.
L'«alieno della moda», come lo ha definito il settimanale francese 'Le point', che per primo ha dato la notizia della sua scomparsa, dieci giorni fa era caduto ed era stato trasportato d'urgenza all'ospedale Lariboisière di Parigi. Entrato in coma, è morto nella notte tra venerdì e sabato. Ha sempre voluto rimanere indipendente, Alaïa, lavorando senza pressioni. Senza seguire i trend. Senza imposizione alcuna. Impossibile per lui piegarsi ai ritmi sfrenati di 12, 15 collezioni l'anno. Dopo un accordo col gruppo Prada, qualche anno fa la sua etichetta era finita nel portafoglio del gruppo Richemont, che decise di ridarle nuova linfa. L'estro nel modificare corpi e profili col suo gioco di taglio era stato celebrato due anni fa nelle sale della Galleria Borghese a Roma, dove tra le sculture del Bernini e del Canova, aveva portato 60 abiti creati nell'arco di un quarantennio. Una mostra-evento con alcune delle icone della 'soft sculpturè di Alaïa, come l'abito viola realizzato per Grace Jones, e lo storico 'Bondage dress' del 1984 nella sala dedicata ai 'Masterpiecè della sua arte. Un contrasto immaginifico di forbici contro scalpello: «Non penso molto all'eleganza in sé quando creo i miei abiti - aveva detto allora all'Adnkronos - ma al corpo delle donne. Questo per me è quel che conta davvero».
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