Jesi, l'imam condanna i terroristi
«Sono vili assassini da combattere»

Il sermone dell'imam di Jesi
Il sermone dell'imam di Jesi
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Sabato 19 Agosto 2017, 06:18
JESI - «Vili assassini. Da condannare e combattere, come tanti nostri fratelli e cugini stanno facendo in patria, nei nostri Paesi d’origine». Nella sala del Centro Culturale Islamico Al Huda di via Erbarella, il giorno dopo la strage di Barcellona la voce dell’imam che guida la preghiera del venerdì condanna i «fatti atroci che hanno ancora una volta colpito la nostra amata Europa». 

Forse già la prossima settimana l’Al Huda e la comunità musulmana preparano una manifestazione pubblica, «contro tutti i terrorismi e qualsiasi forma di violenza» spiega Wahbi Youssef, coordinatore del Centro. «Una manifestazione aperta a tutti, per la pace - dice Youssef - una presa di posizione. Dopo i fatti di Barcellona, abbiamo pensato che il sermone del venerdì doveva parlarne. E di lanciare un messaggio chiaro e in lingua italiana». E in effetti, iniziale richiamo alla preghiera a parte, è in italiano tutto il sermone che l’imam rivolge all’adunata. D’altro canto la lingua del Paese che li ha accolti è quella che permette a una comunità di fedeli eterogenea, e che viene da Marocco, Tunisia, Algeria, Bangladesh, Pakistan, Albania, Macedonia, Senegal, Congo, Siria, Giordania, di comunicare e capirsi.

«Il sermone avrebbe dovuto trattare del tema del pellegrinaggio, che tra pochi giorni porterà migliaia di fedeli a Mecca - dice l’imam - poi abbiamo deciso di cambiare, davanti ai fatti tragici che sono accaduti. Assassinii che non ci rappresentano e che non possiamo accettare siano associati all’Islam». Non c’è solo la condanna. C’è pure l’invito. «Condannare e combattere - dice l’imam - chi, come Isis, il 95% delle sue vittime ad esempio in Siria l’ha fatto proprio fra i musulmani. La manovalanza che compie questi atti porta i nostri nomi ma chi ne beneficia? Gli effetti sono stati uccidere le primavere arabe che cercavano democrazia e riabilitare tutti i peggiori dittatori che abbiamo avuto nei nostri Paesi d’origine. Noi siamo vittime». 
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